Ad Astra: nello spazio filosofico di Brad Pitt
Vent’anni dopo la partenza del padre per una missione di sola andata verso Nettuno alla ricerca di segni di vita extraterrestre, Roy McBride (Brad Pitt) ne segue le orme. È un ingegnere spaziale in cerca della verità sulla spedizione paterna, rimasta misteriosa. Roy attraversa il sistema solare in realtà con la viva speranza di ritrovare il genitore, assente dalla sua vita da molto tempo.
Ad Astra riprende quel filone fantascientifico che a Venezia era stato celebrato da George Clooney in “Gravity” di Cuaron, continuato poi con Arrivale lo scorso anno con “ First man” di Chazelle .
Un’esplorazione degli spazi extraterrestri raccontati negli ultimi anni anche da Interstellar, in cui ora si cimenta per la prima volta James Gray, autore di film metropolitani come “I padroni della notte”, o il romantico “Two Lovers”(con protagonista l’allora nascente astro Phoenix).
“La fantascienza è un genere più difficile di quello che sembra, perché ci sono solitamente elementi fantastici. Quello che vorrei fare è mostrare la più realistica rappresentazione possibile del viaggio spaziale che sia mai stata vista al cinema”, ha affermato Gray.
L’intenzione del regista sta nel rendere per immagini l’ostilità dello spazio verso il genere umano.
La ricerca del padre per Roy diventa una questione essenziale, che va al di là dello spazio e del tempo: trovare il padre e lasciare alle spalle tutte le problematiche insorte dal rapporto mancato.
Da un lato Ad Astra cita precedenti capolavori, come “ 2001 Odissea nello spazio”, o tenta di rifarsi a quel cinema di Tarkovskij che con “Solaris” aveva raccontato altri mondi, ma dall’altro si arena su se stesso.
Non c’è un ritmo che appassioni lo spettatore, malgrado bellissime immagini da sci-fi contemporaneo che sarebbero state il degno contorno alla consacrazione intellettuale del regista americano.
Il vuoto siderale ai confini del nostro sistema solare serve a far riemergere l’umanità dell’astronauta-Pitt, quasi un rimando a questioni sul rapporto tra l’uomo civilizzato che reprime i propri sentimenti e una società primitiva più libera.
Per chi si chiedeva se Gray avrebbe sostituito gli indigeni con gli alieni, resta il dubbio, del tutto umano, sulle nostre origini e sulle nostre emozioni.
“Una storia intima in un contesto immenso – la definisce il regista – a una mostra ho visto una frase che ho subito mandato a Brad: storia e mito iniziano sempre nel microcosmo di una persona. Noi volevamo raccontare una storia piccola nell’ambiente più grande che esiste: lo spazio”.
Gray firma il suo primo film filosofico, o almeno ci prova.
Luisa Galati