golden boy

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Spesso quando si pensa alla tradizione cinematografica scandinava si compie l’errore di lasciarsi andare a letture forse troppo sociologiche e folkloristiche da risultare stereotipate.

E questo anche a ragion veduta dopo l’esperienza tramandataci dalla esecuzione fredda ed elegante di un Bergman o per il manierismo eccessivo e distaccato del Dogma danese tanto per citare una meta non troppo distante.

Eppure ci sono autori che hanno saputo diventare dei fuoriclasse proprio per la capacità di saper giocare con più registri di tonalità e partire proprio dalla glacialità che contraddistingue una meta come Helsinki per arrivare alle profondità dell’animo umano, farlo con garbo e con il contrappunto fra dramma e comicità , accarezzando situazioni a limite del grottesco d’autore e lasciarsi andare in un assolo di chitarra degno del miglior rock/blues da club a tarda ora fra fiumi di birra e fumo di sigaretta.
Un nome non a caso- Una garanzia ormai consolidata da renderlo il golden boy della Scandinavia.

Il maestro Aki Kaurismaki. Quello che ha saputo già deliziarci fra il favolistico della “Fiammiferaia” , il noir fuori dagli schemi di “Ho affittato un killer” per seguire poi uno sgangherato gruppo rock sovietico in tournée americana con “Leningrad cowboys go America”.Estro e capacità di saper mischiare temi e registri con atmosfere ipnotiche e dialoghi che si diradano fino alla sperimentazione del moderno muto di “Juha” , pellicola del ’99 che a dire il vero anticipa nettamente il più blasonato e premiato “The Artist” di Hazanavicius. Ma non è certamente l’ambizione da statuetta che fa la differenza o importa davvero un autore come Kaurismaki che si pone nella cinematografia moderna come uno sperimentatore di materiale narrativo che non dimentica il background scandinavo e la città d’origine che clamorosamente diventa il centro di una nuova storia di accoglienza e di solidarietà. Si abbatte la concezione di un ulteriore stereotipo fatto di incomunicabilità di ghiaccio e silenzi domestici per raccontare la storia di Khaled , profugo siriano in cerca della sorella perduta nella diaspora e l’arrivo fortuito in Finlandia su una nave cargo. Fra centri di accoglienza e bar notturni degni del Van Gogh più inquieto si sperimenta l’incontro fra nuovi arrivati e quattro personaggi altrettanto in cerca di rivalsa sociale.
Un imprenditore che riscatta un ristorante sull’orlo del fallimento e tre dipendenti che tirano a campare con le giustificazioni più disparate. Le stesse che si devono rispolverare quando puntualmente la polizia locale effettua un controllo di sicurezza nel locale con il protagonista siriano nascosto nell’angolo più improbabile. 

Ed è in questi momenti che il “contrappunto” scandinavo scatta nel cinema di Kaurismaki dove una situazione di disagio, emarginazione e sopravvivenza vengono raccontate con un tocco di humour che arriva di soppiatto come una freddura che non ci si aspetta o come una battuta talmente assurda che si blocca a metà strada fra la risata sguaiata e lo stupore di chi guarda.  Per poi lasciare spazio ad intermezzi di rock finlandese e spaccati di locali notturni dove la solitudine la si annega nel rock e nelle pinte di bionda e dove la solitudine di un emigrato è la stessa dell’operaio biondo e dalla carnagione pallida. Solitudine e accoglienza si fondono in un unico inno di uguaglianza senza scadere nel piagnisteo o nella emozione facile che nel cinema di Kaurismaki viene quasi sempre sfumata da ritmi rallentati e silenzi rotti da poche parole ma essenziali.


Resta come sempre la vera protagonista la notte di Helsinki e il suo popolo stralunato ma la regola cinematografica è la stessa e per Kaurismaki è sempre chiara : colpire senza affondare. Far riflettere senza umiliare. Commuovere ma senza urtare. E gioire a tratti senza poterlo esaltare ma con la razionalità del saper sempre soppesare stati d’animo e momenti che sfiorano volutamente il non sense.


In sostanza si finge di essere felici per non morire dentro ma senza ostentarlo in un contesto che non fa differenza fra il Medio Oriente disatrato della Siria post bellica o una Finlandia inspiegabilmente obbligata a diventare la meta primaria di una ripartenza per chi mostra l’altro “volto della speranza”. Doppiamente paradossale ed allucinante come per una volta venga trattato il tema della emarginazione sociale e della emigrazione con tanto autocontrollo e un racconto sempre e costantemente “anticonvenzionale”.

Ennesima perla di Kaurismaki nel mare magnum di un cinema europeo. Una presa di posizione coraggiosa verso un concetto di integrazione che potrebbe anche essere percorribile se solo non venisse bloccata dai soliti vincoli politici. Fra poesia , esistenzialismo e blues per Kaurismaki c’è anche il tempo per una riflessione socialmente più profonda.Un altro volto della speranza potenzialmente indimenticabile.

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