Siamo a Fontanellato, il lunedì di Pasquetta, per l’imperdibile evento chiamato «Street-food». In realtà, avrebbero dovuto chiamarlo «Frit-food», perché sembra che ci siano solo ed esclusivamente bancarelle che vendono cibo fritto. L’odore di fritto impregna l’aria, i vestiti, gli edifici. Annebbia la mente. La musica «Tunz-Tunz-Tunz» sparata da amplificatori giganti piazzati sugli spalti del castello martella i timpani. È il trionfo del trash. La splendida location (il centro di Fontanellato) è completamente sprecata. Potremmo essere tranquillamente in un parcheggio di periferia, o in un centro commerciale. Un evento come questo avrebbe potuto avere un sottofondo di musica rinascimentale, come ha giustamente osservato Andrea Canova, concittadino altrettanto disorientato da me incontrato nel marasma quando, amaramente pentito della mia idea di unirmi al manipolo di coraggiosi decisi a «fare qualcosa» il lunedì di Pasquetta, ho realizzato di esser caduto dalla padella della noia di una giornata in casa alla brace del «Frit-food», e mi aggiravo nella folla composta da giovinastri assai tamarri e da nuclei familiari variegati, sferzato dalle ventate di fritto (davvero non c’era angolo in tutto il centro del paese dove non si fosse brutalizzati da quell’odore), assordato e stordito dalla musica (si fa per dire) «Tunz-Tunz-Tunz».
Riesco tuttavia a trovare l’unico banchetto dove cucinano del cibo commestibile (si direbbe) ed è quello delle specialità liguri: compro un po’ di focaccia di Recco e un po’ di farinata di ceci. Dopo un numero imprecisato di giri insensati intorno al castello, nel momento in cui sento distintamente nascere in me l’intenzione di accoppare il deejay, i miei amici decidono di portarmi via, di trasferirci tutti al labirinto di Franco Maria Ricci (decisione che si rivelerà sensata e che in qualche modo salverà la giornata).
Il labirinto, però, non sappiamo dov’è, e così, dopo esserci messi in macchina, tutti aromatizzati al fritto come siamo e con le orecchie che ci fischiano, chiediamo informazioni a un passante appiedato.
«Di “Frit-food”, vorrà dire» esclamo entrando immediatamente nel suo cuore, con questa spiritosaggine. Al punto che lo sentiamo dire: «Dai, fate posto che vi porto là!» Io gli cedo il posto accanto al conducente e, per farla breve, questo sant’uomo monta in macchina con noi e, guidandoci come Virgilio fuori dall’inferno del fritto, facendoci svoltare a destra e a sinistra in un dedalo di viuzze, ci porta in salvo, lontano dal centro di Fontanellato invaso dai tamarri e dalla loro «cultura» (chiamiamola così) musicale e alimentare, che evidentemente è la medesima degli amministratori del paese e degli organizzatori del «Festival del Fritto e della Musica Tamarra», (imposta agli astanti con una violenza acustica senza precedenti).
Oltretutto l’atto in sé, il semplice fatto che sia montato in macchina con noi per accompagnarci dove dovevamo andare, respingendo il cortese invito di Fabrizio (il nostro gentile conducente) a farci compagnia, e dichiarando che se ne sarebbe tornato in centro a piedi, è straordinario e d’una nobiltà non comune in tempi come i nostri, dove pochissimi hanno la mente abbastanza aperta da concepire una possibilità del genere, dove non ci si fida nel prossimo al punto che l’autostop è passato di moda, dove il «salto» di mentalità necessario a concepire e a mettere in atto un’azione rivoluzionaria come montare in macchina con qualcuno per accompagnarlo dove vuole andare, senza chiedere nulla in cambio, senza avere in mente di ricattarlo, di violentarlo, di puntargli una pistola alla tempia o cose carine del genere, è qualcosa di incredibilmente raro.
«Zombi che mangiano frittelle» mi sembra perfetta, come definizione, per questa tipologia d’essere umano flaccido, compulsivamente attaccato allo smartphone, che ingurgita passivamente cibo fritto e muove la testa al ritmo della musica (si fa per dire) «Tunz-Tunz-Tunz», scattandosi selfie a ripetizione, filmando con l’apparecchio, ancor prima di guardarsi intorno, la sfilata di banchetti frittolezzanti e, ai suoi occhi, evidentemente «stilosissimi».
Passi per i bimbi che si divertono assistendo ai giochi di prestigio del «mago», in quanto sono bambini, ma per i giovinastri vestiti come Eminem o Lady Gaga (i più eleganti) temo non ci sia speranza (Vadim Zeland li chiama «punturati» – a proposito, leggetevi i suoi libri, per il bene dell’umanità!)
Prima di arrivare al labirinto, a una rotonda fuori dal paese, altrettanto misteriosamente di com’è apparso, il nostro amico ci lascia, incamminandosi a piedi in direzione opposta alla nostra.
Ebbene, io voglio ringraziarlo pubblicamente, il nostro benefattore, geografico e morale, perché non ci ha fatti sentire soli, ieri, perché ci ha fatto capire che c’è ancora una speranza, che c’è ancora del buono in questa umanità passata al lato oscuro, che la «resistenza» esiste in seno a questa società sopraffatta dal trash e dal kitsch.
E non solo: scrivo tutto questo per mettere in guardia le amministrazioni comunali d’Emilia, affinché imparino dagli errori degli altri, affinché il loro centro storico mai e poi mai subisca l’infame affronto del «Frit-food», nonché la triste sorte pasquettale di quello di Fontanellato, che è peggiore di ogni «notte bianca», o meglio al cui confronto le «notti bianche», o «rosa», o «verdi», o «blu»… possiedono la classe e l’eleganza dei balli delle debuttanti all’Accademia militare di Modena.
di Pier Francesco Grasselli
www.pierfrancescograsselli.com
nota bio:
Pier Francesco Grasselli è l’autore dei romanzi «Ho scaricato Miss Italia», «Fanculo amore» e della trilogia «maledetta»: «L’ultimo Cuba Libre», «All’Inferno ci vado in Porsche» e «Vivere da morire», tutti editi da Mursia. È imminente l’uscita del primo volume della sua nuova opera: “La Ricerca di Sé stessi”.