A non tutti è concesso di nascere senza rogne. C’è chi dalla nascita si porta dietro allergie varie, diabete, problemi al cuore. Problemi con cui ci si dovrà convivere tutta la vita. Senza parlare delle malformazioni fisiche.
Ma, checché ne dica Santa Romana Chiesa, al giorno d’oggi (e meno male) si sa con largo anticipo se il futuro nascituro di una coppia avrà delle malformazioni fisiche. E sta alla coppia decidere o meno se proseguire la gestazione.
E, anche nei primi anni di vita, nulla fa pensare che il ragazzo soffrirà di una malattia.
Peccato che, e lo si dimentica troppo spesso, la malattia non è solo quella che colpisce il corpo.
Ci sono malattie che colpiscono, purtroppo, la mente.
Malattie difficilmente diagnosticabili tramite macchinari, tac e risonanze discorrendo. Non stiamo parlando di menomazioni o problemi al cervello, problemi di natura fisica, ma di problemi della mente, quella cosa eterea che governa e gestisce il nostro vivere.
E’ la mente, i processi che si compiono dentro di essa, che ci permette di sorridere, di piangere di provare rabbia, di provare emozioni.
E’ la mente che ci porta a fare certe scelte e non altre.
Ma, a non tutti è stato dato il dono di avere una mente funzionante.
Nei miliardi di ingranaggi che ne regolano il suo meccanismo cosi’ complesso, qualche rondella si è messa fuori posto, qualche bullone è saltato, qualche filo è di traverso, qualche pistone, addirittura non è quello di fabbrica.
Sono difetti che non si vedono, difetti che anche un meccanico di fama mondiale non puo’ scoprire.
Non sono neanche difetti di produzione, più verosimilmente sono difetti che di anno in anno si sono creati quando la mente è stata sovraccaricata o, meglio ancora, le è stato obbligato di essere quello che non avrebbe mai voluto fare.
E, mentre per il diabete e per le allergie esistono pillole, per le malattie mentali non esiste nulla.
Nessuno è in grado di sistemare gli ingranaggi della mente. Ci provano psicologi e psicanalisti e psichiatri ma, al massimo, alcuni forse capiscono in quali momenti la mente è iniziata a rompersi, ma non bastano le loro parole di conforto, i loro consigli di prendere la vita con calma per far passare la malattia.
Sono soltanto palliativi di un male che io chiamo cancro dell’anima. Un male che, visto il luogo dove si annida, non puo’ essere estirpato.
E’ il disturbo chiamato borderline. Quello che per la gente di ogni giorno puo’ sembrare normale, per il borderline é un ostacolo senza fine.
Nel borderline la mente gira a 3000, sembra non fermarsi mai. Le attività della vita quotidiana possono risultare estranianti, perché del contatto con la realtà il borderline non sembra averne bisogno. E’ capace di vivere in un mondo tutto suo, dove l’universo esterno viene semplicemente non considerato.
Il borderline é quello, tra i malati mentali, che più soffre della sua condizione.
Perché non é un deficiente mentale, non è nato con un paio di cromosomi in meno e non ha poca materia grigia in circolo.
Non è l’intelligenza che gli manca. Forse, al contrario, è la troppa intelligenza che lo rode dentro. La testa non smette di pensare. Senza sosta, come un treno con riserva infinita di carbone.
Il brutto è che i pensieri hanno un senso. Non sono deliri di uno schizofrenico, sono tutti pensieri lucidi, punti di vista, prese di posizione che non sono mai prive di fondamento. E’ come se il borderline fosse l’unico che riesca a vedere quello che non va in questo pazzo mondo. Ma, il dolore più grande, per un “border”, non è la visione dello schifo del mondo, ma il fatto che questo schifo è, per tutti gli altri, vivere quotidiano, dimora per la vita, rifugio degli anni che passano.
È in questa dicotomia, in questo continuo attrito tra ribellione verso la merda da parte del border, e accettazione della merda da parte del resto del mondo, che nasce il disturbo.
Gli occhi degli altri iniziano a guardarti in modo strano. Nessuno sembra capire le tue argomentazioni, nessuno sembra interessarsi dei tuoi discorsi, tutti iniziano, invece, a ridere, a guardarti di scherno, come se la mela marcia fossi tu e non loro.
Quello che per te era normale, ossia sentire la puzza della merda, e cercare di fare di tutto per toglierla, diventa l’anormale. Agli altri piace la puzza, agli altri piace calpestarla e camminarci di sopra.
Si sa, vuoi o non vuoi, l’uomo sta male a stare da solo, non è nato per rimanere solo. Cosi’, al border, tocca di sforzarsi per sentirsi accettato, per avere un minimo di considerazione sociale.
Inizia cosi’ quel percorso che lo porta a cambiare vita, che lo porta a smettere di sentire la puzza, che lo porta invece ad impomatarsi con la merda. Il border è uno intelligente, è uno che riesce a vedere le cose come se fosse perennemente dietro una cinepresa, è uno che analizza, è uno che pensa, è uno che nota, che al contrario di quello che si crede, non è superficiale.
Per lui è apparentemente facile cambiare. E anche gli altri si chiedono come mai chi ieri sembrava cosi’ strano, oggi sembra cosi’ normale.
Il border è capace, per il semplice bisogno di sentirsi riconosciuto, di battersi affinché la merda continui ad aumentare: lo si vede schierarsi in prima posizione in lotte che solamente poco tempo prima non lo avrebbero mai immaginato come protagonista. Puo’ diventare la stella e l’oggetto del desiderio di quella società che in cuor suo tanto odia. E che continua ad odiare. Semplicemente per il fatto che il border non è cambiato, non si è spostato di un centimetro dalle sue posizioni.
Il border sta semplicemente fingendo. Regista com’è, sta recitando un ruolo, si sta immedesimando in parti che detesta, ma che decide di assumere perché il border ha iniziato a cedere.
Il border si sente solo, e per quanto forti si possa essere, nessuno resiste molto alla solitudine. Il border ha bisogno di parlare, ha bisogno di esprimersi, ha bisogno di dire la sua senza che ogni cinque fottutissimi minuti lo stronzo di turno lo additi come uno svitato.
E allora il border finge, finge di essere come gli altri. Per lui, per il suo genio, è facile, e ci riesce bene.
Si ha il cambio di personalità, il cambio di comportamento, di mentalità. E’ il secondo stadio della malattia. Il border sembra sentirsi più sereno, ma è una sensazione che dura poco. Tra incudine e martello di una solitudine esistenziale che lo divora e la rabbia di non sentire riconosciuta la sua ribellione, il trucco di ritagliarsi un ruolo crolla sotto i piedi. Il fallimento non è il border che non riesce più a recitare, è il border che capisce che non ha senso recitare. Perché guardare il grande fratello, perché comprare telefonini ogni sei mesi, perché stare seduto al bar e via rincoglionendo. Il gioco non vale la candela. Il border inizia a farsi schifo da solo, dilaniato dalla rabbia, angosciato dalla solitudine, mortificato dalla rassegnazione di interpretare un ruolo che non gli è mai appartenuto.
E’ il terzo stadio. Imprigionato da una società che non sa cosa farsene di uno come lui, trova come momentanea via di fuga l’origine del tutto: il pensiero. Cosi’ la sua speculazione mentale si gonfia, riempie stanze immaginarie dove lui trova finalmente dove riposare. Passa giornate intere a pensare, a farsi domande e a rispondersi da solo. Potrebbe scrivere libri se solo ci fosse qualcuno disposto a pubblicarglieli. Peccato che gli altri lo hanno definitivamente etichettato come il pazzo, il deficiente mentale per antonomasia, visto i suoi continui cambiamenti di personalità.
Cosa ne sanno loro di quello che invece questo povero cristo sta provando dentro il suo io?
I pensieri iniziano a diventare troppi, la stessa mente non riesce più a gestirli, perché nessuno di questi pensieri si è trasformato in azione, ma sono rimasti nella calotta cranica a bisticciare tra loro per trovare un po di posto.
E’ la fase successiva: il border cede su se stesso, schiacciato dai suoi stessi pensieri. Il border inizia a perdere colpi, il border inizia a essere un malato, il border ha preso il cancro dell’anima.
E se per le amputazioni del corpo esistono protesi, per le menomazioni della mente non c’è rimedio.
Di Rocco Mela