Uscito nelle sale il 30 aprile, TRACKS di John Curran, tratto dal libro omonimo dell’avventuriera Robyn Davidson, finalmente è disponibile per il grande pubblico dopo essere stato presentato alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia la scorsa estate.

L’impresa, che cominciò a prendere forma nel ’75 grazie all’incontro con alcuni allevatori di cammelli ad Alice Spring, i quali in cambio di 8 mesi di lavoro diedero a Robyn 3 cammelli più un cucciolo, ebbe il principale finanziatore nel noto magazine National Geographic, che stanziò per il viaggio 4.000 dollari.
Il viaggio coprì una distanza di 2.700 kilometri, per una durata di oltre 6 mesi.
Al contrario di come la cosa andrebbe oggi, con molti sponsor che vogliono i completi diritti per pubblicizzarsi, per la Davidson la sua avventura voleva essere un fatto intimo e privato, malgrado gli incontri lungo la strada con giornalisti e i curiosi, che la battezzarono “la signora dei cammelli”. L’unica eccezione fu quella per il fotografo Rick Smolan del National Geographic, in ogni caso mal tollerato dalla protagonista che desiderava una totale solitudine. Ma dopotutto, nel ’94, uscì il libro” From Alice to Ocean – Alone across the Outback”, una collaborazione dei due, con le foto di Smolan e gli estratti dal primo libro scritto da Robyn.
Il viaggio rappresentava la ricerca di se stessa, un recupero della propria dimensione nella natura, col minimo indispensabile per sopravvivere. La riscoperta dell’antica originaria cultura aborigena avverrà soprattutto nell’ultima parte della traversata del deserto, autorizzata dalla compagnia di un anziano, come vuole la legge dei veri australiani dalla pelle scura. Robyn imparerà le regole ancestrali legate ai ritmi della terra e degli animali. Imparerà il rispetto delle stesse, a costo della propria vita, e ne uscirà rafforzata e con la piena coscienza della persona che è diventata. Il film è anche una rielaborazione dei lutti della protagonista, che appaiono come improvvisi flashbacks nelle notti dell’outback australiano.
Robyn Davidson, dopo essere tornata alla ribalta con il lungometraggio a lei dedicato, afferma: “Volevo che questo mio gesto rimanesse privato: per questo mi sono anche pentita delle foto che sono state scattate durante il viaggio. Mi sono resa conto di essere diventata un oggetto, mentre il mio desiderio era essere il soggetto assoluto”.
Di Luisa Galati