THE BAD BATCH – I cannibali di Ana Lily Amirpour
Una ragazza viene abbandonata al confine dello stato del Texas, con un panino e un po’ d’acqua. Un cartello oltre la rete dice” qui termina la legge dello stato”, dove inizia uno sconfinato deserto. Le prime immagini di “The bad batch” – letteralmente il “lotto difettoso“-, della regista 36enne di origini iraniane Ana Lily Amirpour, ci fanno subito uscire dai nostri giorni per entrare in una realtà distopica, post apocalittica, in cui alcuni uomini emarginati dalla società si trasformano in un gruppo di cannibali.
La bellissima Suki Waterhouse, modella britannica, sarà la protagonista di un’avventura che si tinge inizialmente di sfumature horror, per poi ricordare i b- movie anni ’70, e anche un miscuglio di fantascienza con un pizzico di commedia, il tutto ritmato da una colonna sonora trascinante. Musica elettronica, vintage e pop sono il sottofondo di tutto il film ma soprattuto di “Comfort”, il paese simil-messicano in cui si rifugerà la ragazza emarginata dopo essere sfuggita alla morte.
Una donna muscolosa del gruppo di “Bridge “, angolo di deserto simile a una grande discarica, dove tutti sono palestrati e cannibali, la stava facendo a pezzi per gustarsi a mo’ di braciola sfrigolante un braccio e una gamba. Il boss che domina “Comfort”, dove non ci si ciba dei propri simili, è colui che dispensa il “Sogno”, a suon di pillole che ricordano l’ectasy, un irriconoscibile e grassoccio Keanu Reeves.
Irriconoscibile è anche il personaggio incarnato da Jim Carrey, un vecchio muto – non proferisce nemmeno una parola per davvero- che rovista tra i resti della civiltà in mezzo al deserto, e che aiuta un grande e grosso Jason Momoa (Il re scorpione ), del gruppo cannibale, a ritrovare la figlia scomparsa.
C’è chi ha visto in “The bad batch” un richiamo importante a “Mad Max”, ma il secondo film della Amirpour, che era la regista dell’acclamato “Girl walks home alone at night” del 2014, è interessante sotto vari punti di vista, oltre che per l’originalità.
“The Bad Batch” , in concorso per il leone a Venezia 73 , e prodotto da Vice e Annapurna, con un budget di 8 milioni di dollari e un cast di gran livello, strizza l’occhio a Tarantino, Leone, Rodriguez e perfino a Lynch. “Il film è una lettera d’amore a qualcosa di americano”, racconta Ana Lily Amirpour in conferenza stampa, con cappellino sportivo in testa e risposte più che decise: “Amo l’America ma le cose che amo non sono quelle perfette“. E infatti non è per niente perfetto il “Sogno”, ovviamente simbolo di quello americano; tra gli emarginati dal governo statunitense c’è chi non riesce a terminare un puzzle a stelle e strisce, un’afro-americana che indossa un costume da statua della libertà, e anche un insospettabile clandestino d’origine cubana.


Ma in tutta questa violenza e brutalità, i sentimenti incredibilmente continuano a vivere in una love story selvaggia, in una lotta per la sopravvivenza che è critica sociale ma anche una storia romantica in un deserto arido e svuotato di prospettive. Film dallo stile ineccepibile, lisergico ed elettrizzante, malgrado l’inizio esplosivo, cede poi lentamente il passo ad un ritmo che perde incisività.
Ma non si può che plaudere al coraggio della giovane regista, che molto probabilmente ha voluto metaforizzare una sua visione cinica e dolorosa della società che la circonda, in un lavoro ricco di citazioni ma anche molto personale.”Cerco di fare del cinema che seduca la mia parte interiore, che mi prenda la pancia“, spiega la Amirpour: “The Bad Batch è una storia d’amore cannibale western. Ho sempre amato il western, soprattutto gli spaghetti western”.
Di Luisa Galati