Nella misteriosa Venezia, nella zona della Gran Scuola della Misericordia, esiste uno spazio a sé, uno spazio parzialmente utilizzato, in attesa di cospicui quanto urgenti restauri, in cui una volta era ospitata un’importante istituzione sportiva veneziana, la Reyer.
Ora vi si può fare una passeggiata ripercorrendo idealmente antiche storie sui mestieri e sulle le arti veneziane dei tempi che furono.

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Oggi l’artista svizzero Pierre Case’ ne ha fatto il luogo per la sua mostra, con la collaborazione dello scrittore veneziano Alberto Toso Fei – famoso per i suoi libri sui misteri di Venezia, come “Leggende veneziane e storie di fantasmi” – che ha creato appositamente per la mostra in corso una decina di racconti fantastici – in alcuni casi quasi mistici – che accompagnano le opere di Pierre Case’, che ha immaginato questi immensi spazi, accogliere il frutto delle sue ricerche, durante il soggiorno veneziano.

Sono così nati “I misteri del sotoportego”, venti pitto-sculture o “sculture pittoriche”, ognuna dedicata ad un sotoportego di Venezia: l’artista ha compiuto e definito  le opere sui sotoporteghi nell’arco di tre anni.
Ai lavori ed ai racconti di Toso Fei si accompagna un’interessante filmato in cui Case’ spiega i suoi ultimi anni, le difficoltà dopo l’ictus che l’aveva colpito, la voglia di tornare a creare opere in qualche modo “catartiche”e  la sua intensa relazione con Venezia ed i suoi intricati arcani.

Racconta l’artista: ”Nei sei mesi di permanenza a Venezia ho vissuto una dimensione umana, non quella che ricercano i turisti con la loro velocità nelle visite a questa splendida città. Mi ha arricchito il contatto con la gente, la frequentazione di ambienti popolari “veri” e tutto questo mi ha restituito una realtà culturale che poi ho trasferito nella dimensione artistica. Ho pensato, dopo l’ultima mia mostra qui, cosa potessi dire di autentico, di tipicamente veneziano. Ho girovagato per le calli ed i campielli, arrivando all’idea dei sotoporteghi, che altro non sono che“conduttori”tra una realtà e l’altra. Essi permettono di accorciare i tragitti e  rappresentano un’allegoria del passaggio dal mondo terreno ad un altro universo, sconosciuto. In genere fanno provare la sensazione di trovarsi in una zona misteriosa e di avere un po’ di paura. Però allo stesso tempo danno speranza in quanto s’intravvede una luce in fondo, come in un tunnel. Ogni sotoportego possiede un nome di solito connesso a mestieri che si esercitavano lungo il  sotoportego stesso, oppure a creature fantastiche o ad allusioni di matrice religiosa, come quello del diavolo”.

Pierre Case’ ha così riscoperto il significato di questi bui passaggi che permettono spesso di abbreviare il cammino per le calli di Venezia. Ogni sotoportego porta un nome unico e particolare,tra  cui il pittore ha scelto dopo averne censiti ben duecentoquaranta. Tutto ciò lo ha stimolato a trattare il tema e a selezionare una ventina di questi dandogli un’importante significato. Si riscoprono gli antichi nomi di mestieri, come il “pirieta”, che altri  non era se  non il lattoniere specializzato in imbuti, oppure il “capeler”, questo con una traduzione più intuibile, fino a scorgere il sotoportego del diavolo, per il quale l’artista svizzero ha utilizzato due teschi umani.

La mostra, che chiude il trenta ottobre, è patrocinata dalla Citta’ di Venezia, Assessorato alle Attivita’ Culturali, Consolato generale di Svizzera, Milano, Repubblica  e Catone Ticino, Ticino Turismo ed è stata realizzata con il contributo di SWISSLOS –SSIC- Societa’ Svizzera Impresari Costruttori, sezione Ticino, Collezione Renata e Urs Baumann, Aarwangen – Collezione Cinque F, Ticino, Collezione privata Ascona – Anonimo Veneziano , amici e collezionisti dell’artista.

Di Luisa Galati


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