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Piccole ditte crescono: cosa sono e chi sono le Aziende Unicorno

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Benvenuti nel ventunesimo secolo, un’epoca in cui chi cerca un posto fisso come dipendente è destinato ad un grande dispendio di energie per risultati spesso miseri, o quantomeno discutibili.

Le aziende tradizionali – vuoi per obsolescenza dei metodi produttivi o del settore in cui operavano, vuoi per obsolescenza dei titolari – chiudono i battenti a un ritmo impressionante; e a chi cerca una professione, un reddito per il futuro non resta spesso che ingegnarsi… e creare da sé il proprio posto di lavoro. In quanto padrone di se stesso.

Nascono così le start up:

Aziende spesso con concetti innovativi alla base, spesso di dimensioni microscopiche, contraddistinte da una grande giovinezza sul mercato, scarsità di mezzi coi quali affrontare gli investimenti necessari per partire – fondi che di frequente vengono forniti da investitori esterni, che credono nel progetto, che possono andare da poche centinaia a decine di milioni di Euro.

Altre caratteristiche che il più delle volte differenziano le start up da aziende più tradizionali sono la giovane età dei fondatori, la predisposizione al Web (e l’integrazione con esso) e, naturalmente, un elevatissimo tasso di mortalità; il che non è grave, perché la competizione darwiniana tra queste cellule è foriera di interessanti innovazioni di mercato.

Se una start up supera la prova del fuoco e sopravvive deve riuscire a fare di se stessa un business scalabile; ossia,  un organismo che possa crescere in maniera equilibrata, continuando a generare profitti. L’azienda diventa allora una scale up, qualcosa che ha già superato la fase di test e di ricerca e sviluppo e si è dotata di una struttura complessa ed importante, in grado di attrarre investitori ancora più interessanti.

Qualche passo, e tanta fortuna, in più e potrà diventare una scaler. Una definizione collaudata è quella che descrive le start up come aziende che negli ultimi tre anni di attività hanno raccolto investimenti tra 500.000 e un milione di dollari, oppure si sono autofinanziate, e hanno un fatturato di pari livello; le scale up viaggiano invece tra uno e 100 milioni di dollari, e le scaler quelle che superano questo livello, magari dopo essersi qualificate come fast growing startup, ovvero ditte che crescono dal nulla ad una velocità impressionante.

E più oltre, la frontiera da raggiungere è quella che qualifica l’avventura imprenditoriale come azienda unicorno:

Le compagnie unicorno sono aziende che raccolgono, o fatturano, almeno un miliardo di dollari. Giovani (la più vecchia è nata nel 1984, ma la maggioranza tra il 2006 ed il 2007), rapidissime, altamente innovative, in grado col loro peso di mettere in crisi il sistema di riferimento in cui operano da un punto di vista socioeconomico e giuridico tanto da rendere necessaria una ridefinizione dello stesso per poter regolare la loro attività in maniera sostenibile e comunque proficua.

Tra queste, ben il 57% è costituito da aziende totalmente web based o di solo software.

Le Aziende Unicorno sono ancora poche, e vedono la luce specialmente in America del Nord (ovviamente, nella solita Silicon Valley) e in Cina;

Pochissime le europee (tra le quali nessuna in Italia), nessuna in Oceania né tantomeno in Africa, che per molti versi sarebbe un bacino di incubazione perfetto e potrebbe costituire una risorsa intellettuale inimitabile.

Ma il rapporto sta cambiando rapidamente, e oggi per ogni azienda nata in California, da qualche altra parte (e sempre più spesso nel Vecchio Continente) ne sorge un’altra.

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Più in là, ci sono le Colonne d’Ercole dei Decacorni:

Aziende che valgono, e fatturano, decine di miliardi di dollari. Sono questi i veri giganti dei tempi moderni, tra i quali vanno annoverati i ben noti Uber, Xiaomi, AirBnB, che fanno parlare di sé per le note controversie e per il peso enorme conquistato sui rispettivi mercati.

Ma le dimensioni spesso non contano, e a fronte di quote di mercato di dimensioni così ciclopiche, con investitori alle spalle del calibro di Sequoia Capital e Goldman Sachs, il ritorno dell’investimento di queste aziende è spesso molto esiguo, in alcuni casi addirittura nullo, tanto da far raffreddare di molto le valutazioni di mercato e da mettere a repentaglio la loro stessa esistenza. Come per i dinosauri, sono diventate troppo grandi per adattarsi.

La nuova frontiera è perciò costituita dalle aziende rabbit:

Acronimo di Real, Actual, Business, Building, Interesting, Tech, sono imprese che – pur altamente innovative – rifuggono dalla bolla della pura e semplice virtualità digitale e finanziaria e piantano sempre più radici solide e profonde in attività solide, concrete e basate su prodotti da costruire e vendere.

Insomma: una fusione della vecchia idea di impresa, riveduta e corretta per fare spazio alle logiche dinamiche dell’innovazione, alla luce della facilità di accesso a tecnologie e fondi un tempo impensabili.

Le aziende rabbit lanciano il messaggio per il nuovo decennio: siamo qui per restare!

Ma l’evoluzione continua, ed è impossibile prevedere quale sarà il prossimo traguardo.

Di Carlo Vanni

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