Ci viene mai in mente che quello che stiamo per acquistare è un animale fatto a brani? un animale che prima viveva e che poi è stato ammazzato, spesso con un brutale sistema a catena di montaggio terrificante ed estremamente doloroso? Ci viene mai in mente che quello che stiamo per acquistare è un animale che prima di finire a brani in quel banco-frigo ha sofferto fisicamente ed emozionalmente? un animale che è stato allevato, cresciuto e spesso manipolato biologicamente e chimicamente solo allo scopo di essere ucciso e mangiato? un animale che ha presumibilmente condotto una vita d’inferno, chiuso in una gabbia o in un recinto insieme a centinaia di altri suoi simili… e tutto perché noi ce lo mangiassimo?
No, l’industria della carne cerca con ogni mezzo di farci dimenticare tutta la sofferenza che è stata procurata a degli esseri viventi perché quella «cosa» arrivasse nel banco-frigo, tutta la sofferenza di cui noi, nel momento in cui acquistiamo quella «cosa», diventiamo volontariamente o involontariamente complici e responsabili. E noi ci guardiamo bene dal fare il collegamento, giacché l’acquisto della carne è uno dei numerosi automatismi della nostra società, uno degli elementi che rendono le nostre vite sempre più inconsapevoli, sempre più indifferenti, che rendono noi stessi sempre più insensibili, sempre più meccanici, sempre più «addormentati».
Per questo, quando parliamo di queste cose a qualcuno, quando gli facciamo notare che cosa sta facendo quando acquista della carne al supermercato o da qualsiasi altra parte, creiamo in lui un piccolo shock e gli diamo un input in direzione del risveglio. Perché il risveglio comincia da qui, dal renderci conto delle conseguenze delle nostre azioni, o in questo caso specifico dal fatto che con l’acquisto di carne non solo legittimiamo questo tipo di processo, dando ad esso il nostro assenso, ma lo perpetuiamo e ce ne rendiamo responsabili (una responsabilità collettiva, d’accordo, ma pur sempre una responsabilità).
Se prendiamo chicchessia e gli spieghiamo che cosa sta facendo quando compie quell’azione, aiutiamo quella persona a destarsi dal torpore, e talvolta essa si rende improvvisamente conto di quello che sta facendo… «Ehi! Io sto facendo questo! Non me ne ero reso conto! Grazie!» Ecco la reazione che otteniamo, il più delle volte. Bene, non c’è cosa migliore di questa che possiamo fare per il nostro prossimo. Non c’è aiuto più grande che possiamo dargli.
Non a caso, un rigoroso vegetarianismo è il requisito fondamentale per chi intenda compiere un corretto percorso spirituale. Alice Bailey è molto chiara in proposito. Infatti, spiegando questa regola di comportamento, la Bailey scrive: «Quando nella dieta è inclusa la carne, la natura inferiore si ostruisce e appesantisce, e la fiamma interiore non può risplendere.» E aggiunge: «Il discepolo deve limitarsi a nutrirsi di vegetali, cereali, frutta e noci. Solo così può costruire un corpo fisico capace di resistere all’entrata in esso dell’uomo reale che, nei corpi sottili, è stato al cospetto dell’Iniziatore. Se così non fosse e il discepolo dovesse conseguire l’iniziazione senza questa preparazione, il suo corpo fisico verrebbe distrutto dall’energia che si riversa attraverso i centri nuovamente stimolati, con grave pericolo per il cervello, la spina dorsale e il cuore.»
Ma lasciamo perdere l’esoterismo, per ora, e occupiamoci di cose più terra terra. Per quanto mi riguarda, mi definirei un un vegetariano con tendenze vegane. Mangio le uova, ma cerco di non esagerare con i derivati – per esempio con i latticini – e non acquisto più indumenti di pelle o di cuoio (ci provo, almeno). Insomma, cerco di fare in modo che il mio stile di vita abbia un basso livello di impatto ambientale.
Come ho detto, non riuscivo più a sopportare l’idea di nutrirmi togliendo la vita a degli animali. Bene: il regime vegetariano mi permette di mangiare con la coscienza pulita.
Non è stato difficile passare da un’alimentazione carnivora a un’alimentazione vegetariana. Vedete, la gente pensa che mangiare vegetariano sia un sacrificio, ma non è affatto così. Tanto per cominciare, ho scoperto una varietà di cereali e di alimenti di cui prima non sospettavo l’esistenza: amaranto, miglio, orzo, soja, fagioli azuki, lenticchie di ogni specie e così via. Facendo largo uso di spezie, aglio e cipolla, sono diventato un abile chef e ho imparato a cucinare delle zuppe deliziose e altri manicaretti decisamente appetitosi. E dal momento che so che 1) questo cibo fa benissimo al mio organismo e 2) non è stato fatto del male a nessun animale per mettere in tavola il mio pasto, me lo gusto ancora di più.
«Non capita mai di, ehm… sgarrare?» mi ha domandato un amico non molto tempo fa.
Qualche volta sì, lo ammetto. Ma se una o due volte l’anno mi capita di aver davanti un piatto di salsiccie e di cedere alla tentazione di mangiarne un paio, non è perché io abbia deciso di tornare a essere carnivoro, ma solo perché così facendo è più facile che io rimanga vegetariano. Infatti, se lasciassi accumulare quel desiderio fino a non poterne più, rischierei, di colpo, di esplodere e di ricominciare a mangiar carne come prima, mentre cedendo alla tentazione una volta ogni tanto, almeno nei primi anni di vegetarianismo, mi «cavo la voglia», come si suol dire, dopodiché posso ricominciare a essere vegetariano senza che lo spettro della carne mi perseguiti.
Questo cambio di regime alimentare ha apportato molti benefici alla mia salute, che è migliorata, come la mia capacità di concentrazione e la regolarità della mia vita intestinale, se proprio lo volete sapere. Lo so, ci sono medici che sostengono che la carne è essenziale per una alimentazione corretta, ma quelle, signori miei, sono cazzate.
L’uomo dovrebbe essere vegetariano. Il comandamento dato da Dio a Mosé non dice «Non uccidere altri esseri umani». Il comandamento dice semplicemente «Non uccidere»; dice: «Smettila di uccidere altri esseri viventi. Non fare più del male ad altri esseri viventi. Non fare più del male neanche a una mosca …e vedi che cosa succede. Vedi se il tuo destino non migliora.» È tutto karma, come abbiamo detto. E allora che cosa stiamo aspettando?
Il guaio è che la maggior parte delle persone è così condizionata dai propri istinti, dalla propria «natura inferiore», che non riesce a fare a meno di nutrirsi di animali, pur sapendo che è sbagliato, e questo denota debolezza di volontà e nient’altro. Voglio dire che in fondo sappiamo perfettamente che uccidere gli animali per mangiarceli è sbagliato, e che al di là dell’ipocrisia propria alla mentalità alimentare corrente viviamo un conflitto fra il nostro senso di giustizia e la panza, fra la volontà e l’istinto. Bisognerebbe prendere le persone una per una e dir loro: «Smettila di ragionare con la panza e ragiona con la testa: uccidere animali è sbagliato e lo sai, dunque sii coerente con te stesso e comportati di conseguenza!»
Quanto allo sviluppo spirituale, le cose stanno così: non possiamo evolvere oltre un certo limite finché continuiamo a mangiare animali. Infatti, come ho detto, la decisione di smettere di mangiarli è indice di risveglio. Mi riferisco al semplice fatto di pensare a che cosa stiamo facendo quando mangiamo la carne o il pesce, perché si dà il caso che l’industria alimentare, la produzione in serie delle fettine di pollo e dei bastoncini di merluzzo (a proposito, non è strano e inquietante usare la parola «produzione» riferendola a qualcosa come un animale o come un pesce?) faccia di tutto per indurci a dimenticare che cosa stiamo facendo e tenda a mantenerci in uno stato di sonno, di inconsapevolezza e di automatismo, uno stato in cui, dal canto nostro, rimaniamo volentieri, per amor di panza, anche quando sospettiamo che quello che stiamo facendo non sia del tutto giusto.
Ma chi ha compiuto una scelta come quella vegetariana, o come quella vegana, a un certo punto si è destato e si è accorto che non sapeva – o non voleva sapere – cosa stava facendo, e che quello che stava facendo non gli piaceva affatto. Costui ha cominciato a pensare a quello che stava facendo, a vedere un po’ più in là dello scaffale refrigerato del supermercato, a chiedersi che cosa è dovuto accadere affinché quel tipo di alimento finisse su quello scaffale.