Mother! di Aronofsky, il film incubo che divide a Venezia 74
Darren Aronofsky torna a Lido dopo 7 anni da ” Il cigno nero“, film con protagonista una Natalie Portman letteralmente trasfigurata nell’animale dalla sua passione per la danza.
L’atmosfera inquietante che svela l’inconscio è padrona anche dell’ultimo lavoro del regista di origini ebraiche e russe, e si concentra all’interno di una vecchia casa in via di ristrutturazione.


I “cattivi”, tanto per iniziare l’incubo, saranno Bardem e una penetrante Michelle Pfeiffer, che ha confidato alla stampa: “Mi interessa quello che sta sotto alla gente, i lati oscuri e ciò che non si vede. Noi pensiamo di essere e apparire diversi, ma in realtà non lo siamo, non si vede davvero“.
C’è chi ha fatto un confronto col film in concorso a Venezia 74 e “Rosemary’s baby” di Polanski, ma qui Aronofsky parla per metafore e allegorie, talmente tante e sottese non è nemmeno possibile elencarle e capirle tutte in un colpo.
Dopo i fischi alla proiezione per la stampa – come era successo per “The fountain-, il film non esaurisce i tanti interrogativi, anzi, se possibile, ne pone di nuovi. “Mother!”
Chi è? Veste i panni di Jennifer Lawrence, una moglie cui non viene dato neanche un nome, il cui corpo e maternità saranno completamente fagocitate dall’uomo che le è accanto: il marito è uno scrittore, interpretato da Javier Bardem.
Ma come è nato il personaggio estremo, che dona veramente tutto per amore, la Madre? “Ci ho messo anni per realizzare tutti i film che ho fatto, per Il cigno nero ce ne ho messi addirittura dieci, mentre questo film è uscito dalla mia mente in cinque giorni – ha dichiarato Aronofsky in conferenza stampa – la storia è scaturita come frutto di un sogno febbricitante, pensando al nostro pianeta come a una casa che stiamo distruggendo.
Il controverso regista è del tutto consapevole del fatto che il suo film non è adatto e non piacerà a tutti gli spettatori:“so che è un cocktail forte che qualcuno può rifiutare di bere, ma basta leggere i giornali e vedere i notiziari per rendersi onto che ogni luogo convive con l’orrore e la devastazione del pianeta”. Aronofsky, militante ambientalista, ha svelato che quest’ultimo film è nato durante una spedizione nell’Antartico, in cui ha conosciuto una scrittrice nativa, che gli ha mostrato una specie di parallelismo tra la violenza verso le donne aborigene e quella verso la Terra. Anche i colori del film riflettono quelli del nostro pianeta, della nostra casa.
L’intento del film, per il regista americano, è far vivere in prima persona allo spettatore, come un vero incubo, l’invasione, proprio com’è per la madre protagonista, lungo un ritmo che è “come una febbre”.
Non ci si deve aspettare il classico horror, perché anche se l’atmosfera lo è, il lavoro di Aronofsky cambia spesso prospettiva e direzione, lasciando piombare lo spettatore in un’ansia cupa e crescente. Sicuramente, al di là del gusto personale, e se il film potrà piacere o no, una cosa è certa; non lascerà indifferenti.