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Marco Lugli nasce a Carpi (MO), dove vive e lavora, nel 1966. Alla fine del 2005 pubblica il suo primo romanzo dal titolo “L’uomo Tatuato – odissea erotica di un mutante” che rappresenta, seppur da una porta alternativa, il suo ingresso nel mondo dell’arte. Dal 2007 si dedica all’arte a tempo pieno utilizzando il mezzo nel quale si sento più rappresentato, la fotografia.

Filosofia e Produzione Artistica
Ha lavorato principalmente sulla pelle dei corpi ripresi dai suoi scatti fotografici. Questo perché la pelle, stampata sulle lamiere lavorate ancora grezze con acidi e vernici e poi finite con interventi pittorici e materici, acquisisce sensazioni tattili e visive che inducono a pensare a cambiamenti in atto o raccontano forse i segni del percorso di vita dei soggetti che sono sì giovani e vivi, ma al tempo stesso col pensiero rivolto all’infinito e all’ultraterreno. Lugli cerca di dare evidenza al fatto che il bello può diventare assai più ricco di significati e può più facilmente ammaliare se “sporcato” e “imbruttito” dai segni del tempo e delle esperienze e se vissuto nell’assoluto silenzio di una concentrazione estrema o di una vita sospesa tra la vita e la morte.

Pur mantenendo una parte della sua produzione in ambito fotografico tradizionale, si dedica principalmente alla produzione di pezzi unici su supporti metallici contaminando la fotografia con la manualità del fabbro e le vernici del pittore. Realizza dunque stampe fotografiche su lamiere di ferro e altri supporti non convenzionali (spesso isolanti bituminosi di alluminio e rame) che tratta anteriormente (con acidi, ruggine, materiali vari) e posteriormente (con ritocchi pittorici e materici) alla stampa. L’opera finita è dunque il risultato delle trasparenze degli agenti chimici e materici sulla lamiera rispetto alla fotografia stampata. Lavora su formati medi (80 x 80, 100×70, 100×150).

Accanto alla produzione di pezzi unici su materiali non convenzionali, Marco Lugli porta avanti una ricerca fotografica di tipo concettuale. Si tratta di serie di fotografie legate da un filo conduttore narrativo o ideologico che viene esplicitato a parole. Esempio di questa produzione è il concept “I Tube, You Tube” un cui estratto è attualmente arrivato alla fase finale del Premio Arte Mondadori 2009 e sarà in mostra alla Permanente di Milano, Via Turati 54, dal 23 Ottobre al 1 Novembre.

Testi Critici

Marco Lugli propone il ciclo definito e definitivo di ” Tube, You Tube” attraverso sequenze eleganti ed insinuanti, dissimili dalle sue abituali corrosioni e deformazioni pittoriche. Ciclo vitale, FLASHES di passi di danza che si ricompongono in un poema fotografico, allusivo, plasticamente efficace, tendente a narrare fasi di un armonia naturale che l’autore organizza in una successione di immagini legate al senso profondo e meditativo del rapporto tra natura e i sensi più elementari del corpo umano. Rappresentazione fotografica di rara precisione calligrafica e di grande resa simbolica.

prof. Girolamo de Vanna – Univerità di Urbino –

E’ il corpo il leiv motiv del lavoro di Marco Lugli, poliedrico artista che azzarda senza timore ogni sorta di tecniche e contaminazioni che permettono di avere una nuova e inaspettata esperienza sensoriale . Sensuali presenze femminili offrono il proprio corpo all’indiscreto sguardo dell’osservatore, che di buon grado si cala in un gioco di ruoli, dove l’opera elargisce suggestioni che aritmicamente variano dal turbamento all’eccitazione . L’artista concentra la propria ricerca sulla fisicità, declinandola in due correnti principali, la prima puramente emozionale, ai confini dell’erotico, la seconda rivolta al corpo come agglomerato ricoperto di pelle, di cui indaga le pressoché infinite possibilità di modificazioni legale alle sensazioni tattili della pelle. Un’indagine che ci trascina nell’arcano della carne, nel confine tra essere e non essere, una condizione di sospensione dove il corpo è incastonato nell’eterno presente, nell’istante stesso in cui l’anima è in procinto di scivolare via. Sono presenze ancora vive e palpabili quelle che emergono nelle opere, eppure la pelle sembra decomporsi, come se la materia stesse per sublimare in essenza vitale. Lugli non è nuovo al mondo dell’arte, ha infatti visto pubblicato nel 2006 il romanzo erotico“L’uomo tatuato”, da cui ha proseguito la personale ed originale ricerca legata alla corporeità. Un work in progress che prosegue giorno dopo giorno, aprendo le porte ad ogni interazione tra fotografia, colore, chimica e meccanica.

di Rebecca Delmenico

Corpi chiaroscurati, corpi mutanti, corpi come paesaggi, in cui muscoli e membra in tensione creano avvallamenti, pianure, archi tornanti, promontori. Corpi che si amalgamano con il muro che sta sotto, che lasciano intravedere mattoni, stropicciamenti, venature marmoree, che virano dal verde rame, al bronzo, al blu da fossa oceanica. Il corpo è il fuoco centrale della poetica di Marco Lugli. Un corpo in ostensione, come ricettacolo del bello, del ridicolo, della decadenza, dell’imperfezione, di tutte le condizioni liminari della natura umana, di tutti quegli attributi che rendono instabili confini e definizioni, che rendono possibile il mutamento. È molto difficile piegare il corpo alle proprie esigenze, farlo cambiare secondo i nostri desideri. Il corpo è mutevole, ma volubile. Il corpo, mollato con il pilota automatico, cambia in peggio, si rovina, si sfalda, va dritto dritto verso la morte. Spesso la sua stessa bellezza può costituire una zavorra. Lugli mostra nudi maschili proni, perfetti, scultorei, commentati da titoli velenosi. Ne L’imperfetta trasformazione del rospo in principe azzurro un uomo senza volto esibisce il contrasto fra i muscoli statuari del dorso, e la postura buffa degli arti inferiori, raccolti come quelli di chi nuota a rana. Il dinamismo della parte alta sembra suggerire uno sforzo ad uscire da una condizione, da un contesto, da una circostanza, mentre la parte bassa, statica ed assurdamente posizionata, costituisce il fardello, l’ostacolo che impedisce il movimento. Il corpo di Lugli è spesso un corpo diviso a metà, come nei due dittici di Comunque ti guardi non mi sembri in pace, dove figure femminili cadenti, ingobbite, deformate da un effetto ottico e configurate in una posizione segnaletica sciatta ed impietosa, espongono il loro corpo dimezzato da una grossa riga nera. In una sorta di rovesciamento simbolico la donna è immobile, mentre l’uomo si proietta dinamicamente verso altri stati. In È duro essere teneri ma lo è anche rimanere duri la tensione estrema del corpo lo trasfigura in un ibrido fra il vivente e l’inanimato, non più corpo ma testa cornuta, scultura astratta, scorpione di ere preistoriche, conglomerato di rocce. Il capo chinato dell’artista arenato presenta un nudo maschile rannicchiato come un feto, campionato in strisce di diversi supporti che sembrano scomporre la sua interfaccia col mondo. In Elena cerca lontano ciò che avrebbe dentro di sé la figura femminile è deformata dalla prospettiva, la testa è un moncherino piccolo e lontano, e la visione del sesso, in primissimo piano, è occlusa dalle mani, intrecciate come un simbolo di divieto. Dimenticati ciò che ero ed abituati a ciò che diventerò è un ritratto femminile quasi rinascimentale, segnato da linee serpentiformi, titolato da un monito di peggioramento, di degradazione, di rivelazione della fine dell’amore. Non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che tace, sentenzia Marco Lugli. Ciò che tace è il corpo, caricato di aspettative performanti, idealizzato come nel riflesso di Narciso, visto nell’evidenza realista, ma sempre e comunque silente rispetto alla sua natura più autentica.

di Luiza Samanda Turrini

Marco Lugli. Non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che tace 06/12/08 – 11/01/09 – Sassuolo (MO)

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