Il 15 aprile Palazzo Grassi ha inaugurato la sua nuova mostra, “Madame Fisscher”, tutta dedicata all’artista di origine svizzera Urs Fischer. Nato a Zurigo nel ’73, vive e lavora a New York. L’artista ha partecipato alla Biennale di Venezia nel 2003, 2007 e 2011 e le sue opere sono state esposte in tutte le mostre d’arte contemporanea a Palazzo Grassi, dalla sua riapertura nel 2006. L’attuale esposizione si prefigge di dare una panoramica  sul percorso artistico di Fischer dagli anni novanta ad oggi.

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Il visitatore si chiederà cosa significhi già il titolo della mostra “Madame Fisscher”: a chi si riferisce? All’artista stesso? O forse potrebbe essere una citazione di Madame Tussaud e quindi rimandare al famoso museo delle cere? In realtà lo strano nome evoca la linea guida dell’intera presentazione: il tema ricorrente è la meraviglia, a volte il divertimento, l’inquietudine e il dubbio. Il titolo è tratto dal nome della prima installazione che s’incontra entrando nell’atrio del palazzo: questa riproduce lo studio londinese dell’artista, come fosse una sorta di scenografia teatrale, in cui si può osservare il processo creativo prima ancora della realizzazione, quasi fosse più importante dell’opera finale.

I muri e gli arredi ricreano lo studio immerso nel caos, in cui si trovano pezzi di gesso, cera, sigarette, disegni, bozzetti, colori ecc. La sensazione di “non finito” si mescola a quella dello stupore; addirittura dietro lo studio c’è un angolo di spazzatura vera e propria.

Non finisce qui: il visitatore si sorprende ancor di più nello scorgere “Keep it going is a private thing”, del 2001, un cane meccanico che scodinzola in un angolo. Queste idee danno subito forma al vocabolario artistico di Fischer ovvero la presenza di animali domestici e l’uso di meccanismi cinetici. Il tema del movimento è una costante nelle opere dell’artista svizzero, tant’è vero che lo si ritrova in una illogica  e buffa installazione: “Nach Jugendstiel kam Roccoko”, del 2006, cioè un pacchetto di sigarette che gira per la stanza appeso ad un filo collegato ad un braccio meccanico. Si tratta di una presa in giro di vizi e dipendenze grazie ad un oggetto banale, enfatizzata dal titolo dell’opera che deride la storia dell’arte – infatti dopo lo Jugendstil, ovvero l’Art Nouveau, non è arrivato il Rococò, ma viceversa-.

Colpisce anche il nonsense visivo in “A thing called gearbox”(2004) in cui avviene un’anarchica trasformazione in strumento bellico, un cannone, di un arredo -una poltrona- progettato per aumentare la produttività degli impiegati-plotoni. Col contrasto tra la seduta che poggia sul pavimento e il cannone che sembra librarsi in aria come fosse un palloncino, Fischer demolisce le convenzioni della logica e della percezione visiva.

L’elemento di forte sorpresa rispetto ad altre mostre d’arte contemporanea si ha in modo evidente con l’opera realizzata in collaborazione con Georg Herold “Necrophonia” del 2011, presentata la scorsa estate a Glasgow, di cui questa è una fusione di alluminio degli stessi mobili utilizzati nel primo allestimento. Vi è ricostruito un atelier di scultura con bozzetti e opere cui si affianca inaspettatamente una modella nuda in carne ed ossa. Nell’installazione è presente una professionista abituata a posare per l’Accademia di Belle Arti. Libero anche l’accesso allo spogliatoio delle modelle nella sala adiacente, il che vuole affrontare il tema dei limiti tra luogo di lavoro e di esposizione, tra luogo pubblico ed intimità. L’esibizione, caratterizzata da sense of humor, riflettendo la logica dell’indeterminatezza, si sviluppa su un complesso registro visivo grazie a tecniche espressive e materiali eterogenei, in una specie di teatro dell’assurdo, in cui le opere danno un’importante presenza fisica al multiforme e variegato immaginario, interrogandosi sulla storia dell’arte, sulla scultura e sulla relazione col nostro corpo, sul concetto di tempo e di eternità.

Di Luisa Galati

“Madame Fisscher”, Palazzo Grassi, Campo S.Samuele Venezia
Dal 15.04 al 15.07.12
Tutti i giorni 10-19 tranne il martedì

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