Ci troviamo in Italia ed anche il nostro cinema non è esente da una doppia sfida che è un po’ la sfida di ogni cinematografia degna della sua storia e della sua esperienza professionale da rispettare (o meglio rivendicare).
Spesso e volentieri si è parlato della carenza di soggetti e storie da raccontare indipendentemente dalla professionalità degli addetti ai lavori che fossero vedette da prima linea o autori di lunga carriera seduti in regia. Nel corso degli anni si è fatta innegabile l’esigenza di cercare ampio respiro per delle dinamiche di narrazione troppo circoscritte e fatte soffocare nelle mura domestiche e nelle solite problematiche della consapevolezza delle crisi generazionali e della dissoluzione del rapporto familiare e sentimentale.
L’Italia ha avuto bisogno di ben altro. In primis trovare di nuovo il coraggio di parlare delle proprie tradizioni popolari e giocare su quelle varietà regionali che non possono restare una riflessione sviluppata solo sul piano politico. Ed allo sesso tempo cercare l’innovazione e perché no, “osare” verso intrecci che lasciano spazio alla imprevedibilità e a scenari suggestivi reali o immaginari. Insomma rimescolare le carte con irruenza e quel pizzico di folklore che per l’ennesima volta fa la differenza senza ricorrere necessariamente ad una star di grido e dal botteghino facile come lo è stato Zalone in questo ultimo quinquennio.
In questo anno particolare dove si festeggia il cinquantenario del primo uomo sulla luna non a caso si sono riaperte riflessioni sul rapporto fra uomo e viaggi interspaziali alla ricerca di nuovi mondi e un rinnovato dibattito sulla proprietà nazionale su un astro che per lungo tempo è stato al centro anche di una guerra fredda vinta non a caso dalla forza a stelle e strisce e che non ha mai disdegnato la sua ingerenza anche nella nostra penisola.
Allora il cagliaritano doc. , Paolo Zucca ne fa una questione di omaggio e riflessione verso l’isola natale e patria di un percorso estremamente profondo fra uomo e terra di origine. La Luna è un ulteriore pretesto per rimarcare una volontà sarda di rivendicare la propria libertà di pensiero e autonomia.

Il risultato è una commedia composita e giocata fra più registri narrativi e una duplice necessità. Una dichiarazione d’amore verso la propria terra e in secondo luogo la ricerca della “verità” e la scelta della parte più giusta dalla quale stare. Al di là di ogni sfruttamento espansionistico e contro quella parte di “establishment” che ancora esiste e non combatte più con fucili ed armi ma crede di appropriarsi di risorse naturali e beni pubblici a suon di dollaroni e intimidazioni.
“L’uomo che comprò la luna” già dal suo titolo quindi lascia spazio ad una critica sottile e continua verso il vero nemico americano ma soprattutto verso la nuova generazione che si deve ancora schierare fra l’esigenza di difesa della propria terra o il cedere sovranità al prepotente di turno in cambio della sopravvivenza (o del soggiogamento definitivo).

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Ma attenzione perché non siamo di fronte ad un lungometraggio “politicizzato” come sembrerebbe sulla carta.
Commedia di costume dalla comicità iniziale che si affida al duo Jacopo Cullin,  attore e regista cagliaritano ora protagonista assoluto per Zucca , insieme al “mostro sacro” Benito Urgu, che non a caso troviamo nelle vesti di mentore che come un “maestro Miyagi de noartri” dovrà insegnare valori , postura ed usi e costumi ad un ex soldato scelto sardo che si finge “continentale” facendosi chiamare Kevin Pirelli in perfetto stile “bauscia” e ora incaricato dal governo Usa  di trovare l’artefice che ha avuto la presunzione di redarre un atto di acquisto laddove Armstrong ci arrivo’ per primo nel lontano 1969.

Tutto chiaro allora ? Parliamo di esercitazione fatta di imprevisti e incidenti tragicomici e di un rapporto lento di fiducia reciproca fra allievo e maestro?
No. Non proprio così perché è nella seconda parte ben definita che “L’uomo che comprò la luna” diventa altro. E lo fa con quel coraggio che rischia a tratti di far naufragare come nelle Bocche di Bonifacio una prima parte fatta di ilarità e piacevoli stereotipi giocati su brevi scene di dialetto sottotitolato nei botta e risposta fra Cullin e Urgu.
È proprio nella seconda parte della missione del protagonista in terra sarda che il film diventa polemico e ancora più autoctono ma senza perdere di vista gli intenti principali dell’intreccio.  Kevin Pirelli arriva nell’entroterra isolano e si scontra con una realtà dimenticata fatta di bar con frequentatori al seguito. Contesto assolutamente necessario per preparare poi il terreno ad un epilogo che diventa pure in buona misura “felliniano” e dove non importa se per un giorno si superano le regole aristoteliche di rispetto verso spazio, tempo e luogo. Si lascia spazio ad una giusta consacrazione fatta di esaltazione di paesaggi naturali e dove il protagonista arriva ad incontrare le personalità che hanno cominciato la propria personale guerra partendo dall’isola e dalle origini. Da Gramsci ad Eleonora di Arborea fino al nonno stesso del Kevin Pirelli che fino alla fine non ci è dato sapere cosa deciderà della sua missione e della sua stessa vita. Una decisione e un dilemma a cui sono chiamati tutti i “cittadini impegnati” ad esporsi e rispondere secondo Zucca.  Sardi e continentali non fa alcuna differenza ma finalmente uniti sotto il segno univoco di una luna intesa  come divinità che aggrega ed un mare della Sardegna che più consolatorio di così non si può.

Resta poi la considerazione non banale di un film come questo che si gioca su “coppie narrative” ben assortite e che non si ostacolano nel corso dei minuti. Oltre la già citata coppia Cullin/Urgu,  “L’uomo che comprò la luna” si può permettere il lusso di appoggiarsi all’azione di gregari di eccellenza come Stefano Fresi e Francesco Pannofino. Determinanti e comunque necessari per avviare il percorso narrativo che parte dal centro della penisola e arriva alla terra dei quattro mori.
Di grande classe la scelta di presentare una coppia di coniugi affidata a due veterani come Angela Molina da sempre in contatto col cinema nostrano dopo qualche parentesi almodovariana e Lazar Ristovski,  l’indimenticato protagonista di “Underground” di Kusturica.

 

Non troppo comico per diventare un semplice fenomeno “di cassetta” né troppo filosofico o politico per rimanere cristallizzato in quelle dinamiche del cinema intellettuale degno delle serate di premiazione del David di Donatello.
“L’uomo che comprò la luna” riesce a mescolare gli intenti di una narrazione di costume senza eccedere con il macchiettismo e accarezzando lo stile raffinato del cinema d’autore lanciando messaggi consolatori proprio in un anno cruciale dove il cinquantenario della conquista della Luna diventa però il pretesto per interrogarsi su quanto sia importante difendere la propria Terra. Sarda o continentale.
La terra va difesa. Come va difesa al tempo stesso una cinematografia italiana che nelle sue primizie regionali sfodera ancora i suoi colpi migliori.

Speriamo non restino solo singoli “episodi”.

 

 

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