La meditazione consente di bypassare tutte le combinazioni di possibilità
Quando nella fase di dormiveglia chiudiamo gli occhi abbiamo delle visioni di altri mondi, altre vite, altre realtà: quelle sono «altre combinazioni di possibilità», alle quali possiamo abbandonarci o dalle quali possiamo tornare, svegliandoci, alla nostra combinazione di possibilità, cioè alla nostra «realtà».
Alice Bailey dice che la meditazione «può condurre l’uomo in un altro regno di natura, in un altro stato di coscienza e di Essere, in un’altra dimensione», e tutto ciò è assolutamente vero.
Infatti, la meditazione che consiste nello spegnere solo il pensiero discorsivo consente di bypassare le combinazioni di possibilità che danno luogo a universi formali, fisici e psichici, azzerando il lavorio mentale che le produce e proiettandoci nel mondo degli archetipi, e cioè in un mondo che è aformale, astratto e «universale».
La meditazione che consiste nello spegnere non solo il pensiero discorsivo ma anche il pensiero astratto e concettuale consente di bypassare tutte le combinazioni di possibilità azzerando il lavorio mentale che le produce e catapultandoci direttamente nell’Assoluto, nell’Unico indifferenziato.
Per mezzo di questo tipo di meditazione azzeriamo il lavorio mentale complessivo, non solo quello concreto e discorsivo che dà origine alla realtà «di veglia» (e cioè alla nostra combinazione di possibilità) e quello un po’ più blando che dà luogo alle realtà astrali o psichiche (e cioè, per esempio, ai mondi che visitiamo durante i sogni), ma anche il lavorio mentale astratto e puramente concettuale che dà luogo al mondo degli archetipi.
Cessazione totale del pensiero → Dio
↑
Pensiero astratto → mondo degli archetipi
↑
mondo astrale o psichico
↗
Pensiero discorsivo ↑
↘
mondo fisico
Il Buddha ha indicato la via per uscire dal labirinto della mente
Tutta la sofferenza che proviamo è sofferenza mentale, a partire da quel sottile senso di oppressione che non ci abbandona mai o quasi mai, e che è inerente l’esistenza stessa, fino ad arrivare alle torture e alle sevizie più crudeli che possiamo subire, e cioè al dolore che crediamo inerente al nostro corpo fisico. Non solo l’angoscia, la delusione e gli stati psichici negativi, quindi, ma anche la sofferenza fisica è mentale.
Proprio come in Matrix, viviamo immersi in un sogno, nel nostro sogno personale. Tutte le disgrazie, i guai, le malattie, i problemi delle nostre vite scaturiscono dalla nostra mente, e alcuni di noi si sono andati a cacciare in posti davvero brutti, in tane di coniglio oscure e profonde come chissà!
Come hanno fatto a finire lì dentro? La loro mente li ha condotti fino lì… e adesso non riescono più a venir fuori! La loro mente li ha scaraventati in un labirinto nel quale alla fine si sono smarriti!
Ebbene, il Buddha e gli altri maestri hanno indicato la via per uscire da quel labirinto: la via è la sospensione dell’attività mentale.
L’elisir di lunga vita
«La vita interiore conquistata aveva bisogno della meditazione, come l’organismo, a un certo grado del suo sviluppo, ha bisogno della respirazione polmonare.»
(Rudolf Steiner, La mia vita, Capitolo XXII.)
Arrestare il pensiero
Meditare significa staccare la spina dell’ego, e quindi staccare la spina della mente, delle emozioni e degli istinti, badando però di conservare la consapevolezza.
Non è facile «ammansire» le tre componenti dell’ego, escluderle dalla propria consapevolezza, isolando noi stessi dagli stimoli che provengono dai cosiddetti «tre mondi», cioè dal mondo fisico, dal mondo emotivo e dal mondo mentale: nondimeno è possibile.
E come?
Imparando a arrestare il pensiero. Le emozioni e gli istinti si placano da sé una volta che impariamo ad arrestare il pensiero.
Occorre dunque che impariamo a calmare la mente, il pensiero.
Il pensiero discorsivo o il pensiero astratto?
Per ora accontentiamoci di fermare – di calmare – il pensiero discorsivo, la radiolina nella tua testa. È già tanto. In seguito potremo sforzarci di raggiungere la calma mentale assoluta, la totale immobilità della coscienza. Infatti, come ormai sappiamo, arrestando il pensiero discorsivo ci connettiamo all’anima[19] e alla sua saggezza. Se riusciremo a interrompere anche il pensiero astratto, raggiungeremo l’Assoluto, Dio.
Come si fa a arrestare il pensiero?
Come abbiamo detto, è necessario smettere di aggrapparsi ai pensieri. Perché noi ci teniamo aggrappati ai nostri pensieri, e siamo così abituati a farlo che ormai lo facciamo senza rendercene conto.
Del resto, ciò che ci delimita, ciò che fa di noi quello che siamo… è il pensiero. Smettendo di aggrapparci al pensiero, smettiamo di essere quello che siamo – o meglio: quello che pensiamo di essere – e diventiamo qualcos’altro.
Che cosa?
Lo scoprirete.
Smettere di aggrapparsi al pensiero non è facile. Possiamo riuscirci se ci concentriamo su qualche cosa. Alcuni usano il respiro. Per esempio, nella meditazione vipassana il meditante concentra la propria attenzione sull’aria che entra ed esce dalle narici durante l’inspirazione e l’espirazione.
Basta che rimaniate fermi. Non importa se conoscete la posizione del Loto o se siete in grado di tenere le gambe incrociate sotto il sedere. Basta che ve ne stiate fermo e tranquilli, con la schiena diritta in modo da non addormentarvi.
È essenziale interrompere l’incessante lavorio della mente, ripeto. Sri Poonja, un grande guru del secolo scorso, diceva ai suoi discepoli che per sospendere l’attività del pensiero non dovevano fare altro che starsene tranquillamente seduti da qualche parte, lasciando che la mente si acquietasse da sé.
«Stattene tranquillo!» non faceva che ripetere.
Occorre imporre alla mente una sorta di disciplina. Per esempio, quando la mente scappa nel futuro, nel passato o in qualche fantasticheria, occorre che la riacchiappiamo e la riportiamo nel presente, strappando noi stessi a quelle fantasie. In questo modo, a poco a poco, correggeremo l’abitudine che la mente ha di correre di qua e di là.
Interrogare il Sè superiore:
Lo sviluppo della facoltà intuitiva
Quando avete un problema e non riuscite a venirne a capo, smettete di pensarci e mettetevi a meditare. Staccate la spina dei pensieri e connettetevi al vostro Sé superiore. La soluzione al problema giungerà in breve tempo alla vostra consapevolezza.
È stupefacente. Non occorre fare altro che staccare la spina dell’ego e le risposte di cui abbiamo bisogno arrivano, come tante piccole illuminazioni o idee piovute dal cielo.
Quelle risposte vengono dal nostro Sé superiore: meditando ci connettiamo ad esso ed attingiamo alla sua saggezza e alla sua conoscenza. Come scrive Annie Besant, «la mente inferiore, quando è così tranquilla, quando è vinta la sua irrequietudine, diventa come un calmo lago non increspato da alcun vento, non mosso da alcuna corrente. Questo lago è come uno specchio, e sulle sue acque lucide e quiete il sole che è in cielo brilla e si riflette; così anche la coscienza superiore si riflette nello specchio della tranquilla mente inferiore.» [20]
Questa coscienza più elevata che non si esprime per mezzo di parole, bensì per mezzo di un muto linguaggio di archetipi, di astrazioni, di intuizioni, è il Sé superiore, è Colui che parla in silenzio[21] – in silenzio perché il pensiero discorsivo è assente, perché la radiolina nella testa è spenta.
«Ciò che realmente occorre è pervenire al controllo della mente e dei processi cerebrali, in modo che il cervello divenga un ricevitore sensibile dei pensieri e dei desideri che l’anima, o Sé Superiore, trasmette tramite la mente» scrive la Bailey. Allora, la mente si arricchisce del famoso sesto senso, e cioè della facoltà che chiamiamo intuizione e che la Bailey definisce «apprendimento diretto della verità, a prescindere dal concorso della facoltà raziocinante o da qualsiasi processo intellettivo», di certezze che pervengono alla mente «direttamente dal superconscio, o dall’anima onnisciente».
È sul piano del Sé superiore, che possiamo chiamare della conoscenza intuitiva, che nascono i sermoni di grandi maestri come il Cristo ed il Buddha, o persino i discorsi di Yogananda, che nella sua autobiografia confessa che le parole gli uscivano di bocca per ispirazione divina, senza bisogno di pensare a quello che stava dicendo.