Elisir di lunga vita elogio della meditazione

Calmando la nostra mente, calmiamo le circostanze

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È la tua mente che crea tutta la tua sofferenza. Il vortice dei pensieri, del lavorìo mentale, a ogni livello di profondità, dal conscio all’inconscio, produce la tua realtà e le circostanze in cui vieni a trovarti di momento in momento.

Quando sei preso in quel vortice, ti fai prendere dal panico e non riesci più a controllare la tua mente, ed è proprio allora che le circostanze ti sopraffanno e i problemi ti sommergono.

Per mezzo della meditazione calmiamo la nostra mente e, di conseguenza, anche la realtà esterna. Calmiamo le circostanze calmando la nostra mente. Ecco la magia!

Elisir di lunga vita elogio della meditazioneÈ interessante notare che anche secondo Gurdjieff, per sopperire al fatto che nel Kali Yuga – e cioè nell’età oscura di ignoranza e inconsapevolezza in cui i maestri orientali sostengono che l’umanità si trova o da cui ha or ora cominciato a uscire – gli uomini hanno perduto la connessione con il Sé superiore a causa dello «spessore» del loro rivestimento egoico (in primis dell’attività da mente), la Natura ha fatto in modo che a ciascuno di loro capitino certi «eventi inattesi», come degli «shock» che hanno lo scopo di estrarli a viva forza dal guscio dell’ego e di creare in loro quelle «aperture di coscienza» che consentono al sé inferiore di connettersi col Sé superiore.

In altre parole, anche secondo Gurdjieff il fatto che abbiamo perduto l’abitudine di praticare la meditazione è la causa del prodursi nelle nostre vite di quelle che colloquialmente chiamiamo «botte di sfiga».[14] Nei fatti, si tratta dello stesso principio considerato da una prospettiva differente.

Meno caffè, più meditazione!

È la tua mente che crea la realtà, e la realtà ti assale come una belva feroce se non tieni a bada la mente. In occidente non teniamo conto di questo fatto importantissimo!

Per esempio, il caffè stimola la mente. Quindi, tutti questi occidentali che bevono litri di caffè e poi si gettano nel mondo con la mente che corre come un treno impazzito entrano in un circolo vizioso difficile da spezzare, un circolo in cui la loro mente diventa sempre più frenetica, e così pure il mondo intorno a loro, le circostanze in cui vengono a trovarsi. Farebbero meglio a bere qualcosa che aiuti a calmare la mente invece di qualcosa che la eccita!

Creare le condizioni favorevoli a un «pensare sano»

Come se non bastasse, solo quando la mente è in stato di quiete, il pensiero si fa limpido e noi siamo in grado di ragionare lucidamente.

Solo sospendendo l’attività della mente a intervalli regolari, non solo per mezzo del sonno, ma anche coscientemente, per mezzo della meditazione, è possibile evitare il suo «surriscaldamento» (e il conseguente malfunzionamento) e creare le condizioni favorevoli a un «pensare sano», come direbbe Gurdjieff.

Recentemente ho letto un libro in cui l’autore dice che «la nostra mente è come una tazza piena di acqua torbida». «Lo scopo della meditazione è togliere il sudiciume per poter vedere cosa sta succedendo, e la cosa migliore è semplicemente aspettare che si depositi» scrive l’autore. «Dategli tempo a sufficienza e avrete finalmente l’acqua chiara.»[15]

«Si tratta di un processo naturale che avviene da solo» aggiunge l’autore poco dopo. «Il semplice fatto di sedersi immobili e di essere consapevoli provoca l’assestamento.»[16]

Il nostro Sé superiore cerca costantemente di comunicare con il nostro sé inferiore

«Mediante gli ordinati stadi del Processo meditativo si stabilisce, gradualmente e con fermezza, un rapporto fra l’anima e i suoi strumenti, fino a che giunge il momento in cui sono letteralmente un’unità.»
(Alice A. Bailey, Dall’Intelletto all’Intuizione, 82)

Emotività, mente e corpo sono le tre componenti dell’ego o sé personale, ed esso è la parete divisoria che ci separa dal nostro Sé superiore. L’esuberanza dell’ego è ciò che ci impedisce di collegarci al nostro Io interiore. Imparare a subordinare alla volontà la mente, l’emotività e l’istinto significa togliere potere all’ego e ridurre la distanza fra l’Io interiore e l’io esteriore, fra Sé superiore ed sé inferiore; significa facilitare la comunicazione fra Sé superiore e sé inferiore, fra l’anima e il corpo, facendo coincidere le nostre reali e più profonde volontà con i desideri superficiali della nostra personalità individuale.

Il nostro Io interiore cerca costantemente di comunicare con il nostro io esteriore, ma la comunicazione ha successo solo quando l’emotività, la mente e l’istinto rimangono tranquilli. Possiamo pensare a questi tre attributi del nostro essere individuale, specialmente quando sono eccitati e fuori del nostro controllo, come a delle interferenze: solo quando eliminiamo le interferenze siamo in grado di recepire i messaggi che l’Io interiore invia a all’io esteriore, che l’anima invia al corpo.

L’utilità della meditazione è proprio questa: se praticata correttamente, la meditazione consente di calmare le emozioni, i pensieri e gli istinti in modo da aprire il canale di comunicazione con il nostro Sé superiore, o Io interiore che dir si voglia; la meditazione consente di allentare il morso della coscienza creaturale in modo da eliminare le interferenze che ostacolano la ricezione delle informazioni che provengono dall’alto.

La meditazione è lo strumento più efficace a stabilire il contatto con l’anima, a creare l’apertura di quel «canale» che consente al nostro Sé superiore di raggiungere il sé inferiore, che consente all’anima di agire attraverso la personalità.

Per questo Alice Bailey dice: «Se la meditazione è eseguita in modo corretto e la perseveranza è la caratteristica fondamentale della propria vita, si stabilirà un contatto sempre maggiore con l’anima. Gli effetti di questo contatto si manifesteranno nell’autodisciplina, nella purificazione, nell’aspirazione e nel servizio.»

Per questo, se conduce una vita pura ed equilibrata e pratica la meditazione con regolarità, l’uomo mantiene aperto questo canale di comunicazione con la propria anima e acquista la saggezza. E non solo. Visto che l’anima è in fondo Dio stesso, Dio che si rende intellegibile, l’uomo ha l’onore di diventare un trasmettitore che Dio stesso può utilizzare per veicolare messaggi importanti, uno strumento del quale può avvalersi.

Infatti, quando la connessione fra Sé superiore e sé inferiore è stabile, la mente si arricchisce di una nuova prerogativa. «Sua funzione è agire da intermediaria tra l’anima e il cervello, trasmettendo a questo ciò di cui l’uomo è divenuto consapevole come anima.» (A. Bailey)

A un certo punto, insomma, «la mente e l’anima (il Cristo in noi, o il Sé Superiore) funzionano come un’unità, un tutto coordinato, ed esprimono così in modo perfetto la volontà di Dio immanente.» Ma ciò, ricordiamolo, avviene solo «quando la mente può essere resa temporaneamente insensibile ad ogni richiamo esteriore».

 Due livelli di meditazione

Finora abbiamo parlato per lo più della mente concreta, quella che fa parte della psiche e che possiamo identificare con il pensiero discorsivo. Tecnicamente, però, vi sono due tipi di mente da spegnere e due livelli di meditazione.

Il primo, quello di cui abbiamo parlato finora, consiste nello staccare la spina alla mente egoica, e cioè al pensiero discorsivo. Questo è il livello di meditazione che ci consente di entrare in contatto con il Sé superiore o Io interiore, e cioè con l’anima quale entità separata, con l’anima inserita nel «corpo causale» o «archetipo».

Ma anche quel Sé superiore, vale a dire il nostro «nucleo archetipo» o «corpo causale», è qualcosa di concettuale, pur essendo astratto ed aformale.

Ebbene, il secondo livello di meditazione presuppone lo spegnimento del pensiero astratto e concettuale, oltre che del pensiero discorsivo, il che consente di entrare in contatto con Dio senza frapporre alcun «filtro» fra noi – la nostra coscienza – e Lui.

Come scrive Alice Bailey: «Proprio a questo punto si entra in contatto con la Divinità. La mente cessa di funzionare e il vero studente di meditazione scivola in uno stato di cosciente identificazione con quella realtà spirituale che chiamiamo il Cristo entrostante, l’Anima divina. L’uomo, in questo momento, entra in Dio.»

Anche entrare in contatto con il Sè superiore significa entrare in contatto con Dio, sia chiaro, e precisamente con Dio che si rende intellegibile tramite l’archetipo, parlando una lingua di archetipi.

Entrare in contatto diretto con Dio, però, è qualcosa di più perché significa bypassare non solo il pensiero discorsivo e psichico, ma anche il pensiero astratto; significa scavalcare non solo la psiche, ma anche il corpo causale, giungendo fino a Dio, il che consiste di fatto in una condizione inesprimibile, ma è proprio quella la condizione denominata yoga, che significa «unione con Dio».

Vi sono insomma gradi diversi di profondità della meditazione. Spegnere la mente discorsiva ci porta a contatto con il piano degli archetipi e cioè con quell’Io interiore che comunica con noi tramite archetipi o qualità pure, con astrazioni che noi accogliamo come ispirazioni o intuizioni e a cui noi poi diamo forma con l’immaginazione e il pensiero discorsivo, e cioè con la mente che fa parte della psiche.

A questo grado di meditazione appartiene la memoria delle vite precedenti e la vera saggezza, quella che Gurdjieff chiama «Ragione oggettiva», e cioè la coscienza del bene e del male e una fondamentale onniscienza.

Questo si intendeva quando si è detto che la meditazione è lo strumento più idoneo a stabilire il contatto con l’anima, a creare quel «canale» che consente alla saggezza dell’anima di manifestarsi attraverso la personalità. Ed è per questo che Alice Bailey dice che la meditazione favorisce «l’afflusso di conoscenza divina», e che assicura: «Ogni cosa sarà rivelata a colui che medita veramente. Egli comprenderà i misteri della natura e i segreti della vita dello spirito».

Per giungere all’unità con Dio dobbiamo però conseguire la calma mentale assoluta e interrompere ogni tipo di attività mentale, e ciò significa «spegnere» persino l’intelletto superiore astratto. Naturalmente, raggiungere la totale immobilità della coscienza, cioè della mente sia concreta che astratta, è prerogativa di pochi, anzi di pochissimi.

Questo genere di meditazione «è la scienza che ci permette di giungere alla diretta esperienza di Dio»  e difatti, «quando quell’evento grandioso si compie, riconosciamo che la coscienza dell’anima individuale è la coscienza del tutto, e che la separazione, le divisioni, le distinzioni e i concetti di io e tu, di Dio e di un figlio di Dio, si sono dissolti nella conoscenza e nella realizzazione dell’unità.»

La mente è un po’ come di un proiettore e l’esperienza è un po’ come un film, del quale noi siamo spettatori troppo assorti. Ebbene, staccare la spina della mente astratta, oltre che della mente discorsiva, vuol dire spegnere il proiettore. Solo così possiamo destarci dall’illusione.

Quale illusione?

L’illusione della separazione, del mondo, delle forme finite, del nostro esistere come creature; insomma, ciò che i buddhisti chiamano māyā.

Livelli della meditazione                            Componenti dell’essere umano

Cessazione del pensiero astratto         →    unione con                 Dio
                                                                                                        
Cessazione del pensiero discorsivo     →    contatto con      Sè superiore
                                                                                                        
                                                                                                     psiche
                                                                                                        
                                                                                                  corpo fisico


Occorre praticare a lungo per meditare come si deve. Infatti, purtroppo, «in quest’epoca le menti delle persone sono talmente agitate che la concentrazione è impossibile» come dice Srila Prabhupāda, che è oltremodo scettico a riguardo, e difatti aggiunge: «Ho visto questa cosiddetta meditazione: la gente semplicemente dorme e russa»[17].

Ora, Srila Prabhupāda ha ragione. Spesso, invece di meditare, la gente semplicemente si appisola. Ma come ha detto un altro guru: «una cattiva meditazione è sempre meglio che nessuna meditazione». Inoltre, da qualche parte bisogna pur cominciare.

Comunque, perfino oggi c’è davvero chi riesce a raggiungere Dio, o per lo meno a distaccarsi dalla personalità quel tanto che basta per riprendere il controllo della propria esistenza, applicandosi con perseveranza e costanza nella meditazione. C’è davvero chi ci riesce, anche se non c’è dubbio che oggi le menti delle persone sono così agitate che “domarle” con la meditazione non è una passeggiata.

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