Paura di che?
Paura del vuoto, del nulla che diventeresti se spegnessi la mente, se arrestassi il pensiero. «Cogito ergo sum», ti hanno ripetuto a scuola e fuori dalla scuola, così a poco a poco ti sei abituato a identificare te stesso con il tuo pensiero, con la vocina nella tua testa, ma questo è proprio ciò che ha imprigionato il tuo essere nei limiti della coscienza creaturale, questo è proprio ciò che ha causato tanti problemi a te come persona e all’umanità nel suo complesso. Infatti, se l’umanità si fosse abituata a sospendere il pensiero a intervalli regolari avrebbe da tempo raggiunto la saggezza, perché si sarebbe messa in contatto con la propria anima.
Purtroppo, come ha scritto Emma Cusani: «La Mente razionale è ancora la dominatrice dell’Uomo moderno e questi, proteso ad esprimersi attraverso quello che chiama il suo “intelletto”, si identifica tanto con essa, da compendiare il suo Io sono nel cartesiano “cogito ergo sum”…»[1]
Il detto di Cartesio ha legato indissolubilmente il concetto di esistenza e quello di pensiero discorsivo, producendo questa paura istintiva del silenzio della mente, l’horror vacui da cui deriva la tendenza ad aggrapparci costantemente al pensiero, a non allentare mai la morsa del pensiero.
Non è vero che “Penso dunque sono”!
Ma non è vero che «Penso dunque sono»! Infatti, prima di tutto «Sono», poi posso pensare o non pensare, ma in ogni caso «Sono». Sia che io pensi, sia che io non pensi, o meglio che non ci sia nessun «io» che pensa, «Sono», questo è il punto.
Purtroppo oggi le persone si identificano con il proprio pensiero, e così non viene certo loro in mente che potrebbero sospenderlo. Se credono di essere la mente, infatti, è evidente che non sanno che il loro vero Essere si trova al di là della mente, né che la mente è uno strumento tanto quanto lo è il corpo.
In sostanza, che cosa dovrei fare?
Smetti di aggrapparti al pensiero, lasciati andare senza paura. Allora accadrà il miracolo, e respirerai di nuovo liberamente!
Infatti, finché è imprigionata nella mente, l’anima non è in grado di respirare liberamente. Se rimane troppo a lungo richiusa nel pensiero, può persino finire per soffocare. Ogni volta che spegniamo la mente facciamo uscire l’anima dal suo carcere. Allora è come se l’anima prendesse fiato, come se respirasse di nuovo, come se tutto il nostro essere si rigenerasse dall’interno, dopo che l’abbiamo spogliato della pesante armatura di pensieri che indossiamo continuamente, esponendolo all’aria rarefatta del mondo spirituale e cioè all’atmosfera di quel mondo che si colloca al di là del dominio della mente.
La mente e la connessione con il ch’i
Waysun Liao, maestro taoista, chiama «mondo artificiale» il mondo creato dalla nostra mente e avverte che esso esaurisce e brucia il ch’i, cioè la nostra energia vitale, indebolendoci e accorciando la durata della nostra vita.
Egli dice chiaramente che «l’attività artificiale della mente logora la nostra energia vitale».[2] La mente infatti è l’isolante che ci separa da quelle componenti di noi stessi più sottili ed elevate che alimentano la nostra vita e dalle quali dipende la nostra salute.
«L’anima è senza dubbio presente nel cuore dell’entità vivente» dice anche Srila Prabhupāda, «ed è la sorgente di tutte le energie di mantenimento del corpo.»[3]
È dunque importante evadere dal carcere della mente a intervalli regolari, sospendere il suo incessante lavorio per mezzo della meditazione e farlo con una certa frequenza, in modo da riattivare la «connessione» con l’anima e da ristabilire l’equilibrio del ch’i rafforzando così la nostra salute.
Morale, volete disporre di una maggior quantità di energia? rallentare l’invecchiamento? cancellare le rughe dal vostro viso? L’importante è mettere in scacco il cervello, o meglio: il pensiero.
Le componenti più sottili ed elevate che Srila Prabhupāda chiama «anima» e che alimentano la nostra vita, dalle quali il corpo e la mente stessa attingono la loro energia, sono il Sé superiore (corpo causale) e, ancora più in alto, Dio. Isolandosi da quelle componenti, la mente compie quindi, fra l’altro, una sorta di suicidio, e trascina nel baratro anche il corpo.
Ecco perché chi non esce mai dal circolo vizioso del suo pensiero accusa gravi problemi di salute e finisce per impazzire. Il sonno è la naturale «valvola di sfogo» di un pensiero che altrimenti rimarrebbe chiuso in se stesso fino ad andare in corto circuito. Il fatto che tante persone soffrano di insonnia è indicativo e ci dà un’idea di quanti siano, nella nostra sventurata epoca, i «prigionieri» della mente; questo fatto ci dà l’idea di quante persone, oggi, siano ostaggio del proprio pensiero incontrollato, condizione che, isolandole dalla fonte della loro stessa vita, le logora a poco a poco e che infine conduce la mente al collasso e il corpo all’autodistruzione.
Il sonno è un sistema automatico di evasione dall’impero della mente, sistema che ci consente di attingere a una fonte inesauribile di energia. «Ogni notte fai un viaggio nel Non Manifestato, quando entri nella fase di sonno senza sogni» scrive Eckhart Tolle. «Ti fondi con la Fonte. Attingi da essa l’energia vitale che ti sostiene per un po’ quando fai ritorno al manifestato, al mondo delle forme separate.»[4]
Ma il sonno costituisce solo quel minimo sindacale di evasione dall’impero della mente di cui abbiamo bisogno per sopravvivere. È essenziale imparare a uscire di lì anche da svegli. Come? Con la meditazione.
Come se non bastasse, quando prendiamo l’abitudine di «spegnere» la mente per mezzo della meditazione, ci riavviciniamo alla percezione istintiva del nostro autentico Sé[5], smettiamo a poco a poco di agire in base ai pensieri e cominciamo ad agire in base al nostro spontaneo sentire: in questo modo non solo ci sentiamo molto più sani e vigorosi, ma siamo anche meno artificiali e più veraci nel nostro comportamento.
Infatti, oltre a ripristinare il collegamento con la fonte della nostra energia vitale, il fatto di abituarci ad arrestare i processi mentali e a percepire il ch’i, non solo in noi stessi ma anche negli altri esseri viventi e nei mutamenti che hanno luogo tutt’attorno a noi, giacché quando percepiamo il ch’i in noi stessi lo percepiamo anche in tutto ciò che ci circonda[6], questo fatto, dicevo, ci fornisce un sistema di orientamento molto più efficace e attendibile rispetto al sistema di orientamento mentale cui siamo avvezzi.[7]
Per questo il maestro Yoda dice a Luke Skywalker: «Segui l’istinto, Luke» e «Usa la forza, Luke.»[8] Che altro è, la forza dei cavalieri Jedi, se non il ch’i?
Yoda sta dunque esortando Luke a diffidare dei processi mentali e a imperniare le proprie reazioni sulla percezione diretta della forza vitale invece che su concetti mentali artificiali e inaffidabili; lo sta esortando a polarizzarsi nella propria anima[9], nel proprio corpo causale o «archetipo», invece che nella psiche.
Controllare la mente per controllare la realtà
La sospensione dell’attività mentale per mezzo della meditazione è poi utilissima al fine di mantenere il controllo sulla realtà e di evitare di farci sommergere dai problemi.
Infatti, dal momento che la realtà è una creazione della mente, se la mente è fuori controllo allora è chiaro che anche la realtà sarà fuori controllo, al punto che verremo sommersi dai problemi e precipiteremo in un circolo vizioso dove quei problemi aumenteranno sempre di più e dove noi saremo sempre più incapaci di risolverli.
Se al contrario per mezzo della meditazione impariamo a staccare la spina della mente e a immergerci in uno stato di profonda calma interiore, ci accorgeremo che anche il mondo che ci circonda è tutt’a un tratto divenuto più calmo, che le difficoltà non sono più insormontabili e che addirittura le soluzioni si presentano spontaneamente.
«La mente è il mondo, e non puoi abbandonare la mente da nessuna parte» insegna Osho. «Puoi abbandonarla solo se vai dentro di te. Questo è l’unico Himalaya; nessun altro Himalaya funzionerà. (…) Se sei senza mente, l’inferno non può entrare dentro di te; viceversa, con la mente solo l’inferno può entrare. La mente è la porta per l’inferno.»[10]
In altre parole, quando impariamo a meditare impariamo a controllare la nostra realtà dall’interno. Capiamo che calmando noi stessi e la nostra mente «calmiamo» la realtà esterna, che domando la nostra mente «domiamo» il mondo che ci circonda.
Per esempio, quando siamo al volante, capita che ci incavoliamo se qualche altro automobilista ci taglia la strada o non ci dà la precedenza, imprecando ed inveendo contro i «pirati della strada» con espressioni tipo: «Ma chi ha dato la patente a quel deficiente!» o «Quella donna guida proprio da cani!».
Ciò che dobbiamo tenere a mente è che più ci arrabbiamo più avremo a che fare con automobilisti del genere, giacché siamo noi a inserire i «pirati della strada» nelle nostre realtà soggettive con la nostra agitazione e con il nostro soffermarci mentalmente ed emotivamente su di essi.
Se desideriamo ridurre il numero degli automobilisti che guidano «da cani» nelle nostre realtà soggettive, cioè in quelle realtà che altro non sono se non creazioni della nostra mente, non dobbiamo fare altro che calmare noi stessi (la nostra mente), e non ha importanza se usiamo la meditazione o qualche altro sistema.
«Il pensare continuamente alla situazione ci dà il controllo di essa?» si domanda Sheikh Burhanuddin[11]. «Tutto il contrario. Esso congela la situazione. Quando pensate troppo voi girate intorno a voi stessi. Questo vi conduce in una buca, e più pensate più la buca diventa oscura.»
Chi impara a sospendere regolarmente l’attività mentale per mezzo della meditazione possiede un maggior controllo della realtà rispetto a chi rimane perennemente intrappolato nella «stanza» della propria mente. «E anche la storia della vostra vita comincia a migliorare quando accedete a questa dimensione più profonda» dice Eckhart Tolle «L’universo vi viene in soccorso, comincia a collaborare. La vita tende a venirvi in aiuto.» Invece, continua Tolle, «nell’altro stato», cioè quello in cui l’individuo non riesce a evadere dalla propria mente, «l’universo è minaccioso, la vita è percepita come ostile»[12], e lo è davvero.
Che cosa dice Eckhart Tolle di quelle persone che sono troppo prese dai loro problemi anche solo per provare a «spegnere» la mente? «Queste persone stanno difendendo il loro diritto di essere infelici»[13] dice, ed è proprio così, perché tutti i problemi nascono dalla mente e la meditazione è davvero la panacea universale, un «lubrificante esistenziale» grazie al quale nella vita tutto scorre liscio come l’olio. Persino David Lynch è andato in televisione a dire alla gente che la meditazione migliora straordinariamente la qualità della vita. Dite quello che volete, ma io di quest’uomo mi fido.
Quanto a me, a poco a poco mi sono accorto che nei periodi in cui pratico la meditazione con regolarità la mia vita è più tranquilla ed è come se la fortuna mi arridesse, giacché ho – realmente – meno grattacapi, meno disguidi e meno problemi da affrontare.