La Grande Bellezza, Film, Servillo, Sorrentino, FErilli, Verdone 6Un caleidoscopio di colori e luci in una discoteca romana, una voce incantevole che intona una musica classica soave dal Gianicolo. Così si apre “La grande bellezza” del nostro Paolo Sorrentino, che ha concorso a Cannes. Il regista ricorda, rivisitandoli, i racconti felliniani, a oltre cinquant’anni da “La dolce vita”. I rimandi a Fellini in realtà sono molteplici.

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Un giornalista-scrittore non ha più ispirazioni per scrivere: impigrito, scivola tra una festa e una notte in discoteca, tra personaggi grotteschi ma che ben incarnano il ritratto contemporaneo di una moralità che non esiste più. Chi non ricorderebbe qui almeno vagamente il celebre “Otto e mezzo”?

La Grande Bellezza, Film, Servillo, Sorrentino, FErilli, Verdone 4Roma, che cela le sue grandi bellezze eterne, non riesce ad essere apprezzata oggi dai suoi figli. Volgarità, perdita di valori, ostentazione di vuota estetica si dipanano in più aneddoti durante il lungometraggio, aneddoti raccolti da Sorrentino nei suoi anni romani. Storie vere che si mescolano a fantasie borghesi. E’ un’alta borghesia decaduta il perno su cui ruota l’intera costruzione sorrentiniana.

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Protagonista indiscusso lo scrittore 65enne Jep Gambardella, un Toni Servillo indolente, insieme a Carlo Verdone, Iaia Forte, Pamela Villoresi, Galatea Ranzi, Sabina Ferilli ( nella parte di una spogliarellista ormai avanti con l’età). Gli attori si ritrovano in salotti e feste private sui tetti di Roma, spesso da Jep, che abita in un appartamento con strepitosa vista sul Colosseo. Si scoprirà poi che il vicino di sopra col quale Jep tenta a vuoto la conversazione è un politico, poi indagato (un chiaro riferimento a fatti noti).

Ma un altro punto fondamentale nel film è anche il crollo dei valori religiosi, con un cardinale che è più un cuoco mancato. Non perde occasione di spiegare le sue ricette, perfino quando si troverà a tavola con la “santa” suor Maria (Madre Teresa di Calcutta) che risponderà con grandi rivelazioni . La santa afferma ad un certo punto: “La povertà non si racconta, si vive”.

La Grande Bellezza, Film, Servillo, Sorrentino, FErilli, Verdone2Ed è la povertà spirituale dei personaggi che Sorrentino ci propone. Tutte le scene insistono su una povertà di vivere, di idee, di ribellioni, di entusiasmi giovanili andati perduti. Resta una Roma consumata, depredata, non capita nella sua grande bellezza. Come non ripensare a “Roma” che Fellini sfornò nel ’72? Ma qui si parla del vuoto di una Roma calda e sedata, indifferente come una diva morta. La vita, o quello che ne resta, si stordisce con l’alcool, in chiacchiere da talk show, si assorda  coi decibel di terrazze con vista “Martini” (via Veneto), si camuffa in night club o a colpi di collettive iniezioni di botox .

La Grande Bellezza, Film, Servillo, Sorrentino, FErilli, Verdone 5All’alba, infine, riaffiora nel silenzio di una camminata solitaria. Il Tevere abbandona alle sue correnti  un’esistenza che pare non aver più la spinta per una ricerca di senso. Il sesto film di Sorrentino (il quarto con Servillo, il quinto con la fotografia di Luca Bigazzi) presenta in qualche modo il richiamo ai tre stadi kierkegaardiani dell’esistenza: estetica, etica e il religioso. Non è un caso che il racconto, con la venuta della santa, nella “solitudine” al cospetto di Dio, termini con il rimando all’uomo chiamato ad abbandonare ogni finzione o illusione. Tutto questo per esprimere nel finale del lungometraggio un pensiero doloroso dell’essere umano, narrato dalla solenne voce di Servillo: “E’ tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore. Il silenzio e il sentimento, l’emozione e la paura. Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile”.

Di Luisa Galati

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