La città lagunare fu una delle città da lei più amate, palcoscenico delle sue stravaganti esibizioni, di teatrali e memorabili feste, dove la marchesa teneva animali come tigri, pappagalli e serpenti nel giardino di Ca’ Venier dei Leoni ( oggi famoso perché successivamente acquistato da Peggy Guggenheim, sede attuale del museo omonimo).
Tra le innumerevoli amanti di Gabriele D’Annunzio, fu l’unica che egli stimò veramente, ammaliato per anni dal fascino inimitabile di quella donna straordinaria che, come tanti altri, citò e ricordò in numerose sue opere. Al suo fascino cedettero numerosi pittori, scultori, fotografi che la ritrassero: Alberto Martini, Augustus Edwin, John, Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Kees Van Dongen, il barone Adolph de Meyer, Cecil Beaton. Ma anche Romaine Brooks, Ignacio Zuloaga, Jacob Epstein, Man Ray.
Fu ritratta da Boldini, in viola, rose rosa e levriero; un ritratto che è icona, simbolo d’un mondo scomparso in cui, come dice Giovanni Nuvoletti, “si raccoglievano le grazie estenuate di frasi come questa: Vieni in giardino, voglio che le mie rose ti guardino”. Alla marchesa Luisa Casati, Gabriele D’Annunzio rivolse un simile complimento, telegrafando dal suo eremo dorato “I rosai del Vittoriale ti aspettano per fiorire”. E non è affatto una leggenda quella che vuole un Vate intento nello spargere montagne di petali per i giardini e le stanze del Vittoriale, in attesa che vi passasse quella che da tutti, ingiustamente, venne poi definita come sua creatura.
In realtà la Marchesa Casati fu questo ed altro, e molto di più. Ciò che d’Annunzio scriveva nei suoi romanzi, la Casati lo metteva nella vita. Jean Cocteau, il quale ne fu amico e confidente, scrisse che “aveva saputo crearsi un ‘tipo’ all’estremo. Non si trattava più di piacere o non piacere, e tantomeno di stupire. Si trattava di sbalordire”.
La marchesa Casati non fu soltanto spettacolare ed eccessiva, immortalata con pitoni veri attorno al collo: il percorso espositivo e gli inediti studi pubblicati le rendono giustizia a distanza di quasi un secolo dandole dimensione più artistica. È’ stata documentata la sua attività di collezionista e restituito un vero intento estetico negli atteggiamenti e nelle maschere che portava: tutto ciò la rende un’anticipatrice assoluta dell’arte performativa e della body art.
Una figura del tutto fuori tempo nel suo tempo, che seppe stupire e incantare, che passeggiava tranquillamente per piazza San Marco assieme ai suoi leopardi, a quanto si racconta, al guinzaglio ma con collari tempestati di diamanti.
In pochi anni trasformò il suo volto in un’icona indimenticabile, truccato con profonde ombre nere, con le pupille dilatate e lucenti per effetto della belladonna, le labbra dipinte di rosso scarlatto, i capelli tinti di rosso. Dilapidò la sua immensa fortuna in travestimenti mozzafiato e in feste a dir poco spettacolari di cui fu ideatrice e principale interprete, in case allestite come musei, in opere d’arte. Morì a Londra nel 1957 in totale miseria. Ma il triste epilogo non può che in un certo senso amplificare la sua personalità unica e ribelle, esplosiva e ingorda di vita e di festa, di arte vissuta in ogni azione.
La mostra è ideata dall’architetto Daniela Ferretti, curata da Fabio Benzi e Gioia Mori e coprodotta dalla Fondazione Musei Civici di Venezia e da 24ORE Cultura – Gruppo 24.
Di Luisa Galati