Juste la fin du monde, l’opera matura di Xavier Dolan
Il regista Xavier Dolan a soli 27 anni ha vinto il Gran premio speciale della Giuria all’ultimo festival di Cannes, la scorsa primavera, con “Juste la fin du monde“.
Il film è già in questi giorni un gran successo in Italia, dopo il boom ai box office di Francia e Canada.
Per chi non lo conoscesse, Dolan è lo stesso 19enne che debuttò alla regia e portò “Les amours imaginaires” a Cannes 8 anni fa.
Una specie di “enfant prodige” alla macchina da presa, con uno stile inconfondibile fin dai primi lavori.
Il ragazzo canadese, figlio di Manuel Tadros, attore di origini egiziane trapiantato in Quebec, e di un’insegnante, Geneviève Dolan, ha respirato l’aria del set sin da piccolo, girando spot pubblicitari e film.
Nell’ultimo lavoro, tratto da un pièce teatrale di J. L. Lagarce, “Juste la fin du monde”, ha scelto di cambiare direzione e farsi più intimo nella descrizione dei personaggi che animano la trasposizione teatrale. Gaspard Ulliel, scelto come attore protagonista per l’interpretazione Louis, attorno al quale ruotano tutti gli altri, è un 34enne che fa ritorno “a casa” dai famigliari, dopo ben 12 anni, per annunciare la sua morte. Troverà ad attenderlo la sorella minore, Suzanne – Lea Seydoux – che praticamente non ha conosciuto, una madre – Nathalie Baye -attenta al trucco e alle unghie smaltate, e il fratello Antoine, un grande Vincent Cassel, che prova rabbia per tutto, anche per sua moglie, interpretata da una meravigliosa Marion Cotillard.
I sentimenti sono un sottofondo muto, ma tutto viene espresso dagli sguardi, in particolar modo grazie ai dolci occhi azzurri della Cotillard.
Tutta la brutalità dei non – rapporti viene a galla, e nessuno capisce perché Louis sia tornato.
I membri della famiglia reagiscono tutti in maniera diversa all’incontro: Antoine rivive la gelosia verso il fratello minore, Suzanne lo accoglie bene ma praticamente non lo conosce, la cognata Catherine è una persona insicura, e la madre Martine non sa come decifrare il motivo del ritorno del figlio, ma spera in un dialogo interrotto anni prima o più probabilmente ma davvero iniziato.
La figura della madre resta importante, ma è vissuta come un pezzo del puzzle che è tutta la famiglia qui rappresentata.
Il non detto è il vero protagonista, interiorizzato e mostrato nella sottile sofferenza del protagonista, non percepita dagli altri, da chi dovrebbe amarlo. Solitudine espressa in molti primi piani dall’alto, in cui gli occhi di Louis sono lucidi ma non rivelano nulla a chi non ha la sua stessa sensibilità.
Giovane scrittore, Louis è uscito dalla penna di Jean Luc Lagarce, che Xavier ha davvero conosciuto e visto morire da piccolo.
Con questo lungometraggio ha voluto ricordarlo nell’animare la pièce di uno degli autori di teatro più giovani in assoluto. Il suo sguardo contemporaneo ha il sapore di un’opera matura e classica, in cui ogni personaggio libera un modo di essere che potremmo ritrovare nella vita di ogni giorno.
Il suo stile però è innegabile, le sue inquadrature, i colori e le musiche, insieme agli sguardi – esteriori ma soprattutto specchio di quelli interiori-. Si potrebbe definirlo “meta-cinema” che parla all’anima.
Ora è in lavorazione il suo futuro lungometraggio, per la prima volta in lingua inglese, “The Death and Life of John F. Donovan”, con Natalie Portman e Kit Harington, pellicola sullo star system. «C’è qualcosa di ciò che ho vissuto a Cannes, qualcuno potrebbe considerarlo una specie di rivincita. Non fosse che l’ho scritto cinque anni fa…» svela Xavier Dolan, ex ragazzo prodigio ma autore contemporaneo con una personalissima cifra stilistica. E che ora con ” È solo la fine del mondo“ concorrerà agli Oscar.
“Home is where it hurts“, dalla colonna sonora di “Juste la fin du monde”
https://www.youtube.com/watch?v=YnxmLNg6rUA&list=FL-zbngZn3SKXut8Bf71NFpw
Di Luisa Galati