Il Museo di Storia della Psichiatria: Il Padiglione Lombroso
Il padiglione Lombroso, uno degli edifici simbolo del complesso manicomiale del San Lazzaro di Reggio Emilia – che dal 2 marzo 1945 al 6 dicembre 1948 ha ospitato anche il pittore Antonio Ligabue – è stato trasformato in Museo della psichiatria e aperto al pubblico il 30 settembre 2012. Per quasi un secolo luogo di dolore e costrizione, il museo permette ora di evocare la particolare atmosfera che lo ha caratterizzato. Sono stati rispettati i suoi spazi originali, i materiali, i cromatismi e le tracce del degrado che ne hanno segnato l’esistenza.
In mostra gli strumenti scientifici, di contenzione e di terapia quali camicie di forza, macchine per l’elettroshock, caschi del silenzio per isolare i pazienti, l’urna per la goccia d’acqua, tragiche testimonianze del come i pazienti venissero considerati “malati pericolosi per la comunità”.
Il padiglione Lombroso
Originariamente chiamato Casino Galloni in onore del primo medico direttore del san Lazzaro e destinato ad ospitare i malati cronici tranquilli, l’edificio venne costruito nel 1892 in forme differenti da quelle di oggi, corrispondenti di fatto all’avancorpo dell’edificio attuale. A seguito dell’obbligo di istituire presso i manicomi una “sezione” di isolamento per “pazzi criminali dimessi” e “detenuti alienati” sancito dalla legge “Giolitti” del 1904, venne trasformato con l’aggiunta di due ali con celle e del muro perimetrale e intitolato allo psichiatra e criminologo Cesare Lombroso.
Solo nel 1972, dopo aver ospitato anche malati diversi dagli autori di reato – dal 2 marzo 1945 al 6 dicembre 1948 ospitò anche Antonio Ligabue – l’edificio venne definitivamente abbandonato; venne anche abbattuto il muro di cinta: andarono così persi i graffiti realizzati negli anni dai ricoverati, di cui oggi rimangono solo le fotografie, mentre quelli realizzati sulla pareti interne sono stati recuperati grazie al restauro dell’edificio.
In base alla “modula” compilata dal medico condotto, che testimoniava la presenza di disturbi e tracciava un veloce quadro clinico del caso, veniva richiesto all’autorità civile il ricovero coatto nell’ospedale psichiatrico. Il paziente veniva tenuto in osservazione (i due padiglioni gemelli Tanzi e Morselli erano dedicati appunto a questo scopo, dividendo uomini e donne) e, se veniva riscontrato un disturbo, era ammesso al San Lazzaro.
A questo punto il malato era ricoverato in uno dei padiglioni, in base al sesso, alla categoria di disturbo (tranquilli, agitati, lavoratori, sudici…) e alla classe sociale. Esistevano infatti al San Lazzaro quattro classi di ricovero, distinte dalla retta pagata: i pazienti nullatenenti, per i quali le spese erano coperte dalle provincie, erano ricoverati in IV classe, mentre la I era destinata ai più ricchi; le dotazioni dei locali e il vitto erano diversi a seconda della classe.
Il lavoro
Nel XIX secolo, nell’ambito delle terapie “morali”, veniva largamente raccomandata l’ergoterapia, ossia la “terapia del lavoro”: già dall’epoca del direttore A. Galloni (1820-1855) al San Lazzaro i pazienti venivano impiegati nei lavori quotidiani (colonia agricola, cucine, piccolo artigianato, sartoria…), seguiti dal personale dell’ospedale psichiatrico. In Manicomio il lavoro non era considerato un diritto come per ogni altro cittadino o un’opportunità di riabilitazione in vista di un lavoro esterno, bensì uno strumento funzionale al mantenimento dello status di ricoverato e al buon funzionamento dell’Ospedale stesso.
Diverse immagini dei pazienti al lavoro sono reperibili nell’archivio fotografico del San Lazzaro e in particolare nei due album realizzati da G. Fantuzzi negli anni 1899-1910.
Sono conservate circa 8000 opere (disegni, tele e terrecotte) prodotte dagli ex ricoverati del San Lazzaro, in particolare durante gli atelier di pittura aperti già nell’800 e attivi fino alla chiusura. La sezione più antica comprende soprattutto disegni, come quelli di Federico S.: trentino di origine, proveniente da una famiglia benestante e laureato in legge in Germania, venne trasferito al San Lazzaro dal manicomio di Pergine (TN), con diagnosi di delirio ambizioso nel 1884. Venne dimesso nel 1896, ma dopo pochi mesi venne nuovamente ricoverato e rimase al San Lazzaro fino alla morte, nel 1903. Utilizzava questi disegni per esporre i propri “concetti” agli altri ricoverati.
Negli anni ’30-‘40 venne ricoverato tre volte anche il pittore Antonio Ligabue, che venne rinchiuso proprio nel padiglione Lombroso.
La produzione in Ospedale Psichiatrico si intensificò soprattutto negli anni ’70, con i moderni atelier in cui vennero prodotte anche tele e terrecotte; vasta è anche la produzione dei bambini ricoverati nella colonia-scuola Marro, in cui il disegno era delle materie di studio.
La storia degli Ospedali Psichiatrici, e della Psichiatria in generale, è anche la storia delle pratiche e degli strumenti utilizzati per controllare il comportamento dei malati di mente. Ed è la storia delle denunce, che periodicamente scuotono la coscienza civile, dell’uso che ne è stato fatto, correzionale e irrispettoso della dignità umana.
Dalle catene, alle manette, al casco del silenzio, alle camice di forza l’armamentario degli strumenti di contenzione è ricco e occupa un posto di primo piano nelle esposizioni museali. Occorre sforzarsi di collocare questi manufatti nella loro cornice culturale e storica e non solamente lasciarsi attrarre dalla loro potenza evocativa; tuttavia non si possono tacere gli abusi, passati e anche recenti, e si può affermare che il modo con cui il problema viene affrontato, dai servizi psichiatrici e anche dai presidi deputati alla sicurezza sociale, è la cifra del livello di civiltà di un’intera società.
Reggio Emilia, via Amendola, 2
Area ex San Lazzaro
42122 Reggio Emilia
T 0522/456477