Curata da Lauren Hinkson, la raccolta, che occupa tutto il primo piano di Palazzo delle Esposizioni, prende le mosse dagli anni successivi alla seconda guerra mondiale, quando gli Stati Uniti diventarono il centro dell’arte moderna. New York , da cui provengono la quasi la totalità delle opere esposte, si trasforma in teatro di diverse pratiche estetiche: la Pop Art, con Andy Warhol, fino all’Arte concettuale degli anni sessanta, il Minimalismo e il Fotorealismo.
Uno sviluppo in quattro sezioni che emerge dall’allestimento nelle sale, dove si è messo in particolare evidenza una significativa selezione di lavori della Peggy Guggenheim Collection. Nel ’42 Peggy Guggenheim, collezionista di opere d’arte, aprì una galleria-museo a New York: vi si allestirono mostre innovative, dando luogo ad un fermento artistico tra gli esponenti dell’Avanguardia europea, di cui facevano parte artisti fuggiti dalla guerra, e una giovane generazione di pittori statunitensi quali William Baziotes, Jackson Pollock, Mark Rothko -noti poi come il gruppo della “New York School”-.
Questi artisti danno il via al percorso espositivo, dove spiccano i primi Pollock degli anni ’40. Si rompe con la tradizione, generando una nuova esperienza pittorica astratta, che riassume in sé, oltre al Cubismo e Surrealismo, anche i murales messicani e l’arte dei nativi americani.
Cresce dunque un insieme di identità di matrice prettamente americana con una voglia di novità e di rottura con la pittura realista sociale del decennio precedente. Ad ogni sezione corrisponde un decennio e un movimento artistico: alla fine degli anni ’50 nasce una nuova tendenza nella pittura, detta hard edge (traduzione letterale: “bordo duro”), o post pittorica, cosa che si può notare in Pollock o de Koonig.
C’è una ricerca sui punti fondamentali della pittura: linee, superfici, colore, forma della tela. Un chiaro esempio del passaggio alla nuova corrente pittorica è dato dal tratto significativo di Morris Louis, con la tecnica detta “soak stain”, letteralmente “macchia per assorbimento”ovvero, il colore, molto diluito, viene lasciato scorrere su tele di grandi dimensioni. Oppure Ellsworth Kelly utilizza il “systemic painting”( “pittura sistematica”), che rifiuta le esasperazioni gestuali nell’astrazione di Pollock, utilizzando comunque un tipo di pittura molto astratta, lineare, asciutta, per l’appunto “sistemica”. Gli anni sessanta proseguono con il Minimalismo, che vuole ridurre all’essenziale l’espressione artistica pittorica. Si caratterizza grazie ad una sorta di freddezza da parte dell’artista, a un’impersonalità e oggettività dell’opera, a grandi volumi geometrici, e vi appare l’elemento della sequenza seriale, che sarà ripreso, con diverso intento, da Warhol.
La Pop Art si origina da un’altra prospettiva: una forte ironia sulla società dei consumi, sul concetto di riproduzione e quindi una presa in giro del boom economico e della potenza americana. Appaiono le prime immagini ripetute decine e decine di volte, le icone come Marilyn Monroe o Mao Tse- Tung si colorano in modo vivace e diventano essi stessi oggetti di consumo. Dello stesso periodo sono interessanti i lavori, peraltro enormi (si parla di 10 metri solo in lunghezza), di Rauschenberg, che si serve di litografie e fotografie miscelandoli a pittura e colori in un risultato dirompente per l’epoca. D’altro canto, alla fine degli anni sessanta, un gruppo d’artisti risponde alle provocazioni warholiane con la trasposizione della realtà tout court, riproducendo la società esaltata dai media, con i suoi oggetti di culto, come le auto per esempio, al contrario del sarcasmo proposto dalle opere del genio americano. Thomas Messer, Tom Blackwell, Robert Bechtle, Chuck Close , sulla scia della Pop Art, ne condividono il carattere reazionario ma senza distaccarsi dalla visione del reale, fotografando appunto il mondo e riconsegnandolo allo spettatore che in ultima analisi trarrà le proprie considerazioni. Si tratta di fotografie trasposte su tele molto grandi, che traducono immagini meccanicamente riproducibili in oli a mano: il concetto è la verosimiglianza e soprattutto il riferimento a momenti di vita quotidiana in America. Impressionante il lavoro di Close, “Self portrait”, che realizza il proprio ritratto unendo migliaia di puntini. Infine a chiudere la mostra è il Post-Minimal- Concettuale o Arte Concettuale in cui è più importante il concetto stesso che non l’opera d’arte in sé: l’idea è illustrata perfettamente con opere di Donald Judd, Carl Andre, Frank Stella, Richard Serra, Bruce Nauman.
Pur avendo un’essenza diversa, quantomeno a livello ideale e/o concettuale, questi movimenti furono accomunati da un impegno concreto ad indagare la natura, il significato, e le finalità dell’arte.
Di Luisa Galati