Si tratta di un giallo in cui effettivamente sembra non accadere nulla di particolare, ma dalla grande forza emotiva: Repubblica lo definisce un “thriller poetico”.
Un gruppo di poliziotti insieme al procuratore e un coroner, guidati da un assassino, sono alla ricerca del luogo di sepoltura sommaria di un cadavere. Di qui ci ritroviamo alla fine di un ipotetico racconto, mentre i protagonisti svelano pian piano i fatti antecedenti ed il quadro comincia a farsi più chiaro.
Come a ricordare le antiche tragedie greche, sviluppa i tormenti individuali di persone comuni che svolgono il loro mestiere, in questo caso, durante una convivenza forzata. Eppure, sebbene non abbia un che di memorabile, il film incanta con la sua bellezza seducente.
La steppa racconta. Tutti i casi verranno chiusi ma non risolti: quindi nessun colpevole e nessun innocente. “Once upon a time in Anatolia”, opera dalla durata notevole e dall’ascendente vivo, continua ad affascinare e a porci domande.
Di Luisa Galati