Il 29 agosto si è aperta a Venezia la Biennale d’Architettura, quest’anno intitolata “Common ground”(29.8.’12-25.11.’12). L’idea di un territorio comune, volendo anche una sorta di “background” comune fa da filo conduttore : il tema è incentrato su ciò che co-esiste, è comune, un terreno da cui nascono i progetti esposti.

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La città di Venezia, unica per il suo genere e praticamente intoccabile a livello architettonico, ospita questa fucina di nuove idee su come gestire ed interpretare gli spazi. La kermesse è diretta da David Chipperfield, che spiega: ”Il tema centrale di questa Biennale è ciò che abbiamo in comune. L’ambizione di “Common ground” è soprattutto quella di riaffermare l’esistenza di una cultura architettonica costituita non solo da singoli talenti ma anche da un ricco patrimonio di idee differenti. Siamo partiti dal desiderio di enfatizzare idee condivise aldilà della creazione individuale: questo ci imponeva di attivare dialoghi piuttosto che selezionare singoli partecipanti”. 

Common ground ci invita a scoprire queste idee condivise partendo dalle nostre singole posizioni di differenza. Il tema della Biennale è quindi in parte una provocazione, in tempi di crisi economica globale, nel dimostrare l’impegno verso valori condivisi e comuni. Comune appunto è il common ground, che si snoda in diverse collaborazioni e idee interessanti, come quella di poter osservare da alcuni spioncini gli spazi vivi della casa che cambiano sotto i nostri occhi, come propone il padiglione del Brasile ai Giardini. Oltre ai gruppi e agli studi di architetti scelti e valutati per le idee condivise, le partecipazioni nazionali riguardano l’Albania con “In Heritage”, l’Angola con “Beyond entropy Angola”, l’Argentina con “Argentina: identica en la diversidad”, l’Australia con “Formations: new practises in Australian architecture”, l’Austria con la sua ”Hands have no tears to flow”, il Regno del Bahrain con “Background”, il Belgio con “The ambition in the territory”, il Brasile con “Con vivencia: Lucio Costa and  Marcio Kogan”, il Canada con “Migrating landscapes”, la Repubblica Ceca con “Asking architecture, il Cile con “Cancha: Cilean soilscapes”, infine la Repubblica Popolare Cinese con “Originaire”.

In “Migrating landscapes”, progetto selezionato da una giuria nazionale, creato dal gruppo Migrating Landscape Organizer(MLO), si percepisce che il tema proposto è quello del migrante, attualissimo, in quanto mette in evidenza le problematiche del mondo globalizzato e la conseguente sedimentazione di persone e culture di diverse provenienze, mentre allo stesso tempo analizza il comportamento umano ed i suoi atteggiamenti, nonché la progettazione contemporanea dell’architettura attraverso i confini sociali, politici e culturali. Nel comunicato diffuso da MLO si legge: “ Le persone si spostano in tutto il mondo, e la questione dell’immigrazione è più importante che mai. A dispetto però di una maggiore mobilità dell’umanità, molti Paesi stanno diventando sempre meno aperti a nuovi immigranti, ma il Canada rimane una notevole eccezione. MLO pone domande circa l’architettura contemporanea come pratica cross-culturale e come possibile negoziato dei confini politici e culturali”. Il padiglione canadese, sull’onda dei successi precedenti, sta già suscitando grande interesse tra gli addetti ai lavori, pertanto la rappresentazione del Canada come“nazione delle genti”accrescerà ulteriormente il fascino di questo Paese, lanciato – forse- come nessun altro verso il mondo che verrà. Un altro Paese affine per concezione e apertura è l’Australia che, grazie ai suoi direttori creativi Anthony Burke e Gerard Reinmuth, presenta un’installazione digitale che mostra visioni urbane futuristiche per la Capitale Europea della Cultura, la città di Maribor in Slovenia. Il lavoro esposto esplora i criteri con cui le pressioni esterne sulla professione cambieranno il modo di progettare le nostre città (gruppo di espositori: 2112AI: 100 YR City). E’presente un gruppo irìtinerante che fornisce consulenze ai veneziani su come migliorare le proprie case, istruendo il pubblico sui legami tra la pianificazione dell’abitazione e i problemi di salute (gruppo di espositori: Richard Goodwin Pty Ltd).

Non manca perfino una complessa installazione scultorea prodotta roboticamente che esplora il potenziale di artigiani “robot” e di nuove tecnologie per cambiare il nostro modo di progettare (gruppo di espositori: supermanoeuvre). Il commissario del Padiglione Australia dichiara: “ E’ entusiasmante notare l’affinità tra l’esposizione australiana e il tema lanciato da Chipperfield. Ci auguriamo che ”Formations”, insieme agli eventi tenuti dall’Australia, promuoveranno l’interesse internazionale incoraggiando la collaborazione e la conversazione sulle questioni globali che incidono sulla professione dell’architettura oggigiorno”. Altro nucleo portante della 13.Biennale d’Architettura  sta nel trovare soluzioni condivise per quanto riguarda lo sfruttamento del territorio e le risorse energetiche.

Sulla facciata del padiglione tedesco si legge a caratteri cubitali: “Reduce, reuse, recycle; all’interno sono esposte delle gigantografie con alcuni esempi di riutilizzo del patrimonio edilizio preesistente. Il percorso espositivo è realizzato con vecchie passerelle per l’acqua alta, a concreta dimostrazione del riutilizzo delle risorse. Nel padiglione Russia si cambia registro: l’atmosfera è iper-tecnologica, alla “2001. Odissea nello spazio”. All’ingresso vengono forniti degli I pad con i quali è possibile inquadrare gli innumerevoli codici QR disseminati per il padiglione a cupola, che si traducono in foto, video e rendering dell’ I-city di Skolkovo, futura città dell’innovazione che sarà creata in Russia, grazie alla partecipazione di architetti di tutto il mondo ( compresi Chipperfield, Herzog & de Meuron e Stefano Boeri). Questa cos’è se non la radice del “Common ground”? Un terreno comune, un comune sentire, per una realizzazione in “comune”. Common ground rivela un’insita speranza, per la ricostruzione di una nuova identità della figura dell’architetto, dell’architettura e dei progetti. Un’utopia che si fa sempre più reale, forse.

Di Luisa Galati

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