Corpo e Spirito dualismo

Ci siamo fatti intrappolare?

Confesso che per me resterà sempre un mistero come tante persone possano iniziare e – quel che è peggio – andare avanti per anni a fare cose che non vorrebbero fare. Del resto, non mi sono comportato così anch’io, almeno per un po’?

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  Penso al tempo trascorso come venditore di assicurazioni. Non c’era niente che non andasse in quel lavoro. Semplicemente, non era la mia strada… perciò, dopo che l’ho imboccata, il mio corpo mi ha fatto capire senza mezzi termini che avrei dovuto piantar lì baracca e burattini al più presto, a meno che non volessi autodistruggermi vivendo una vita sbagliata che mi avrebbe reso infelice. Autodistruzione e infelicità sono infatti strettamente connesse: la prima è conseguenza della seconda.

  Il guaio è che spesso siamo prigionieri delle abitudini, delle convenzioni, delle ipocrisie, delle finzioni sociali e sì, anche delle nostre paure. Tutte queste cose ci bloccano e ci impediscono di metterci in gioco e di inseguire la felicità, e allora accettiamo il grado di infelicità a cui siamo abituati e rinunciamo in partenza a cercare di ottenere qualcosa di meglio a causa della paura di perdere quel poco che abbiamo già ottenuto. Lasciamo passare un giorno dopo l’altro, senza più inseguire i nostri sogni, fingendo che tutto questo non abbia importanza, e così ci prepariamo per la tomba.

 Quanta gente conosciamo che si è fatta intrappolare dalle circostanze? Tanta. Gente che continua a vivere in un luogo sognando di vivere in un altro luogo. Gente che continua a fare un lavoro sognando di fare un altro lavoro. E senza mai provare a cambiare le cose. So come funziona perché ci sono passato anch’io: uno inizia un lavoro, e magari il lavoro non gli piace granché, ma lo stipendio è buono e gli permette di sbarcare il lunario, e così si accontenta, anche se continua a sognare una vita diversa. Bene, questi non sono altro che compromessi. Peggio: sono trappole! E la gente continua a lasciarsi intrappolare. E quante paia di occhi spenti, vacui, tristi…

  Spesso le aspirazioni vengono segregate e tenute sotto chiave in una minuscola cella collocata nello strato più interno del cuore, e là dimenticate, abbandonate. Molte persone hanno addirittura perduto la chiave di quella minuscola cella e si ritrovano a vivere vite senza sapore, tormentate da una sensazione di incompletezza, dal presentimento di qualcosa di inafferrabile, di un vuoto incolmabile, incomprensibile. Ma non si risolve un bel niente seppellendo le aspirazioni, pur sotto le ragioni più plausibili, le ipocrisie più accettabili e i precetti più buoni e saggi del mondo. Infatti, le aspirazioni, se vengono segregate e recluse, imputridiscono e marciscono nelle anime, ed è questo il momento in cui sopraggiungono le malattie – quando forziamo noi stessi, quando versiamo la creta delle nostre aspirazioni negli stampi ristretti delle nostre mediocri aspettative, perché

Lentamente muore

chi non capovolge il tavolo,

quando è infelice sul lavoro,

chi non rischia la certezza per l’incertezza

inseguendo un sogno,

chi non si permette

almeno una volta nella vita

di fuggire i consigli sensati.[46]

   Come possiamo scoprire se ci siamo lasciati intrappolare? La prova del nove è quella della felicità: se la felicità è assente, vuol dire che siamo sulla strada sbagliata. Se siamo spesso di cattivo umore, se ci lamentiamo in continuazione, se non siamo più capaci di meravigliarci, di scorgere la bellezza del mondo, allora significa che dobbiamo dare un nuovo corso alla nostra vita.

   A volte l’apparenza inganna. Il fatto di essere definiti «arrivati» secondo i canoni della società non significa che ci si senta realizzati anche sul piano personale o secondo criteri esistenziali più vasti. Molte persone, sebbene appaiano «arrivate» agli occhi degli altri, sono segretamente prigioniere di dinamiche che le rendono infelici e di schemi di pensiero che le opprimonoÈ il caso di quegli uomini che, pur essendo ricchissimi, sono tormentati e scontenti.

Gioia di vivere o semplice edonismo?

Non è nemmeno detto che quelli che ci sembrano euforici e raggianti di felicità lo siano davvero. Infatti, a volte vediamo persone che si danno alla pazza gioia, che bevono e fumano a tutto spiano, che perdono il conto dei propri compagni di letto, che vivono alla giornata senza prendere mai niente sul serio e senza darsi pena per il futuro. Poi, certe volte, vediamo che queste persone si ammalano e ne rimaniamo sorpresi. Strano che si siano ammalati proprio loro – pensiamo – proprio quelli che sovente abbiamo guardato con un po’ di invidia, giacché ci sembravano capaci di vivere più intensamente degli altri, di godersi la vita senza lasciarsi intralciare da timori o da falsi pudori, di trarre da ogni giornata tutto il godimento e tutto il divertimento che era possibile trarne. Strano che si siano ammalati proprio loro che ci sembravano animati da una voglia di vivere così prepotente!

Corpo e Spirito dualismo 3  Analizziamo il loro comportamento: il fatto di bere e di fumare a tutto spiano, di vivere alla giornata e di fare sesso con partner scelti a casaccio… Tutto questo spesso viene scambiato per gioia di vivere, ma in realtà non lo è. Anzi, in realtà è l’esatto contrario. In realtà, alla base di un comportamento di questo genere c’è un pensero del tipo: «La nave affonda. Godiamocela, finché dura! Prendiamo tutto ciò che possiamo, finché possiamo!» Questa non è gioia di vivere, bensì rassegnazione, decadenza, cinismo che si risolve in edonismo. Tutto ciò è più vicino alla disperazione che alla gioia; è più un arrendersi che un voler vivere; è più un dire di no alla vita che un dirle di sì.

     Al contrario, la vera gioia di vivere va sempre a braccetto con la voglia di vivere autentica, cioè con una spinta verso la vita, verso la salute. Tenere il corpo in ordine e vivere in modo sano, questa è vera voglia di vivere e quindi gioia di vivere autentica. Essa si può manifestare allorché una persona prende la decisione di smettere di fumare, oppure di ridurre o di arrestare l’assunzione degli alcolici, o ancora nello smettere di fare sesso con chicchessia, cominciando ad attribuire al sesso un valore e mettendosi alla ricerca di un partner con il quale vi sia la possibilità di costruire qualcosa (una relazione stabile, una famiglia) e cioè nel tentativo di dare una direzione alla propria vita. In tutto ciò si manifesta la voglia di vivere, cioè la gioia di vivere autentica, e non nel comportamento autodistruttivo che (anche quando è verniciato di edonismo) è sempre indice di disperazione e di decadenza.

  La voglia di vivere è nel condurre una vita sana, nel cercare una persona con la quale costruire qualcosa di significativo, nell’avere dei progetti e nel darsi da fare per realizzarli, e non nel godere a più non posso come se il futuro non esistesse. Eppure, questo è proprio ciò che nella nostra società viene scambiato per voglia di vivere e per gioia di vivere – e questo è un indizio dello sfasamento dei valori che si è prodotto in essa. Perciò, dovremmo andarci piano a dire: «Quello lì è uno che vive la vita» quando vediamo qualcuno che si gode la vita, perché spesso ciò che muove quella persona è l’esatto contrario della voglia di vivere – è disperazione, rassegnazione, perdita di speranza e corsarismo esistenziale – e quella è semplicemente una persona dedita al vizio.

  Ora, come abbiamo detto, queste persone infelici – che appaiano tali o meno – sovente finiscono per ammalarsi, e questa condizione esteriore non è che la naturale conseguenza della loro condizione interiore di infelicità. Infatti, data la relazione fra l’interiorità e l’esteriorità dell’individuo, fra gli attributi psicologici e gli attributi fisici, è evidente che le disarmonie dello spirito si traducono presto o tardi in disarmonie del corpo e che un atteggiamento psicologico autodistruttivo innesca sempre una corrispondente manifestazione fisica.

  Se ci facciamo caso, chi si macera nell’invidia e nel risentimento è sempre pieno di acciacchi, e così pure l’uomo in cui allignano rabbia e frustrazione, gelosia e insoddisfazione. Se studiamo il rapporto interiorità-esteriorità, anima-corpo, psiche-organismo, troviamo sempre le corrispondenze tra l’interno e l’esterno e ci accorgiamo che nella maggior parte dei casi corpi sofferenti testimoniano di interiorità sofferenti. Dunque le emozioni negative (rassegnazione, pessimismo, paura, cinismo, rancore, senso di colpa, eccetera) sono quanto di più tossico e nocivo esiste per l’organismo fisico, giacché la loro permanenza nella parte spirituale o psichica dell’individuo a lungo andare causa la malattia.

  All’opposto, sempre premessa l’influenza esercitata dagli aspetti qualitativi dell’esistenza sui suoi aspetti quantitativi, cioè dallo spirito e dalla psiche sul corpo e sulle condizioni di salute, è evidente che la «purezza di vita», il fatto di nutrire sentimenti positivi e costruttivi come l’altruismo e la generosità, e soprattutto la capacità di provare amore ricoprono un ruolo determinante nella guarigione dalle malattie e sono, per così dire, un toccasana.

 Come nel caso dell’aspetto fisico, l’amore può perciò essere utilizzato anche per migliorare le nostre condizioni di salute. «Ricordate che l’amore è energia, una sostanza reale, come la materia densa» scrive Alice Bailey. «Essa può essere utilizzata per eliminare i tessuti ammalati e sostituirli con altri, sani.»[47]

  Tempo fa, qualcuno mi ha parlato dell’importanza di far prevalere la volontà sull’istinto e sulle passioni in modo da rafforzare la parte animica e spirituale dell’essere umano, cioè quanto di noi sopravviverà alla morte.[48]

  Ebbene, tutto ciò non rappresenta un bene solo per la componente spirituale dell’individuo, ma anche per la componente materiale e corporea, che diviene più sana e meno soggetta alle malattie.

  Infatti, il contatto con l’anima costituisce di per se stesso un risanamento interiore che dà luogo a un risanamento esteriore. Alice Bailey sostiene che «quando l’energia dell’anima e il giusto uso della volontà (che nell’individuo è l’agente e il riflesso della volontà dell’anima) fluiranno libere e correttamente dirette dalla mente, la malattia potrà essere trattata e infine vinta»[49]

Un giorno avremo corpi perfetti con anime atrofizzate?

Purtroppo, a causa della tendenza a polarizzare la coscienza nel corpo anziché nelle componenti più interiori e più durature del proprio essere complessivo, è inevitabile che con l’avanzare dei tempi un certo numero inidividui [50] divenga sempre più insensibile alle esigenze dello spirito ed appare evidente come in essi il divario tra anima[51] e corpo sia destinato ad accrescersi.

   Il progredire della scienza medica, lo scoprire la molecola responsabile di questo o di quel male, la capacità di curare perfettamente il corpo senza agire sull’anima, di guarire il denso (la materia) senza badare al sottile (allo spirito), questa abitudine di dar rilievo all’esteriore (cioè a ciò che percepiamo per mezzo dei sensi) senza prendere in considerazione l’interiore (tutto ciò che non possiamo percepire tramite i sensi) che riscontriamo anche nella medicina moderna e che possiamo chiamare «materialismo medico», tutto ciò sta accentuando in loro la spaccatura tra spirito e la materia, nonché la separazione della seconda dal primo, di modo che loro stessi hanno sempre meno ragioni per spostare la polarizzazione della propria coscienza dal corpo alle componenti più interiori del loro essere complessivo e diventano sempre più quantitativi e sempre meno qualitativi, sempre più materiali e sempre meno spirituali, e forse un giorno non lontano avremo esseri umani dotati di corpi perfetti ma con anime atrofizzate.

  C’è da dire che non è possibile annientare completamente il nucleo spirituale dell’individuo, giacché con esso si estinguerebbe la fiamma stessa della vita. Quel nucleo spirituale, dunque, per quanto avviluppato in strati sempre più densi di materia, non solo continuerebbe a esistere, ma seguiterebbe a esercitare il suo influsso sulla materia grossolana, ragion per cui la medicina materialistica avrà sempre dei grandissimi limiti. Uno spirito guasto guasterà anche il corpo, e la medicina non potrà fare altro che rallentare il processo – nella migliore delle ipotesi.

  Oggi confidiamo ciecamente nel potere della medicina moderna, negli sviluppi della farmacologia e della chirurgia, nei progressi della scienza e negli ultimi ritrovati della tecnica. Così, invece di «ravvederci» e di conformare il nostro comportamento alla volontà del nostro Sé superiore, che in realtà è un unica cosa con il «Dharma» o «Legge» [52], siamo spavaldi e continuiamo a commettere gli stessi errori [53] …e nella nostra sicumera ignoriamo un principio fondamentale che in Africa è efficacemente espresso con queste parole:

     «Se Dio non sopporta più il cane, gli manda un ascesso al centro della testa [dove non riesce a leccarlo]».[54]

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