Usa versus Germania

Le attuali normative americane, con particolare riferimento allo stato della California, sono in vigore dal 2009. Ora la Volkswagen deve richiamare 11 milioni di veicoli circolanti, non conosciamo il valore dello stock ovvero dei veicoli in pronta consegna e non venduti.
Davvero dal 2009 ad oggi speravano di non essere beccati avendo installato un software che agiva direttamente in fase di diagnostica? Proviamo a ricordare cosa è accaduto in Europa, particolarmente in Germania. Forse chi da bambino vedeva spettacoli di burattini, sa che dietro alle marionette c’è sempre chi tira i fili.

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Volkswagen truffa inquina Ecco alcune cifre in sintesi, si leggono sia da destra che da sinistra non hanno quindi valenza politica:
Dal 1999 al 2007 le importazioni di auto dei «generosi» Pse ( Paesi Sud Europei ) dalla Germania sono aumentate di 20 miliardi di euro, quelle di farmaci di 3,4 miliardi e quelle di apparecchi elettrici di 5,3 miliardi.

Ma intanto le «ingrate» importazioni tedesche di abbigliamento dai Pse diminuivano di 1,1 miliardi (con un calo di 750 milioni dalla sola Italia); quelle di prodotti tessili di 731 milioni (-362 milioni dall’Italia); quelle di calzature di 624 milioni (-302 milioni dall’Italia); quelle di mobili di 383 milioni (-302 milioni dall’Italia).

Nello stesso periodo le importazioni tedesche di abbigliamento dalla Cina sono cresciute di 3,3 miliardi, quelle di prodotti tessili di 662 milioni, quelle di calzature di 664 milioni e quelle di mobili di 817 milioni, solo per fare alcuni esempi.

Volkswagen inquinamentoQualcuno dirà: «È la globalizzazione!» Niente affatto. Solo la Germania nell’Eurozona si è comportata così sfacciatamente verso i partner e soprattutto verso l’Italia. Infatti, dal 1999 al 2007 l’import francese di abbigliamento dall’Italia è cresciuto di 453 milioni di euro, quello spagnolo di 679 milioni e persino quello greco di 246 milioni!
L’import francese di calzature dall’Italia è aumentato nello stesso periodo di 257 milioni; quello francese di mobili di 317 milioni, quello spagnolo di 254 milioni, quello portoghese di 31. E così via.
Appena nato l’euro, la solidarietà dei tedeschi verso i PSE è evidentemente finita subito dove cominciava il loro portafoglio. E ben prima che esplodesse il problema del debito sovrano greco.

Non paga di aver drenato immense risorse dal Sud Europa grazie all’euro dal 1999 al 2007, la Germania è riuscita anche a farsi finanziare a basso costo il proprio crescente debito pubblico durante l’attuale crisi.
Ciò è avvenuto di nuovo soprattutto con flussi di denaro sottratti ai Paesi mediterranei e principalmente all’Italia. Vediamo come. Nel 2008, quando fallì la Lehman Brothers, il debito pubblico tedesco espresso in percentuale della ricchezza finanziaria netta delle famiglie (60%) era ancora assai superiore a quello dell’Italia (55%). Inoltre, nonostante il boom dell’export favorito dal tasso di cambio fisso dell’euro, il PIL tedesco era cresciuto molto poco dall’inizio del Millennio, con una domanda interna decisamente più fiacca di quella italiana. Sempre a fine 2008 la ricchezza finanziaria netta delle famiglie italiane (2.946 miliardi di euro) era ancora notevolmente più alta di quella delle famiglie tedesche (2.770 miliardi), che pure sono numericamente molte di più di quelle italiane. E, a differenza delle banche italiane, le banche tedesche erano piene zeppe di titoli “tossici” americani. Il che avrebbe portato a salvataggi dolorosissimi, che hanno contribuito in modo determinante a far aumentare il debito pubblico della Germania di 287 miliardi di euro dal 2009 al 2010! Quando nel 2010 scoppiò la crisi del debito pubblico greco che presto avrebbe contagiato anche Irlanda e Portogallo, c’erano molte ragioni perché fosse la Germania, più che l’Italia, ad avere paura del futuro. Infatti, le banche tedesche, secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali, a fine settembre 2010 avevano esposizioni consolidate in Grecia per 40 miliardi di euro, in Irlanda per 154 e in Portogallo per 40, mentre quelle italiane ne avevano per meno di 5 miliardi in Grecia e in Portogallo e per soli 16 in Irlanda.

L’ITALIA COME AGNELLO SACRIFICALE

Nel 2011 l’Italia aveva sicuramente un presidente del Consiglio poco apprezzato all’estero, Berlusconi, ma un ministro dell’Economia, Tremonti, che a giudizio della stessa stampa internazionale aveva tenuto in ordine i conti pubblici durante la crisi. Prova ne è che a fine 2010 l’Italia poteva vantare il miglior bilancio statale primario dell’Eurozona, pari al +0,1% del PIL, dopo quello dell’Estonia (+0,3%), mentre la Germania era al -1,6%, la Francia al -4,7%, la Grecia al -4,9%, il Portogallo al -7%, la Spagna al -7,7% e l’Irlanda al -27,5%. In più, il debito pubblico italiano figurava tra quelli cresciuti di meno in termini monetari tra il 2008 e il 2010: +180 miliardi di euro. Più di tutti era però cresciuto il debito pubblico tedesco, di ben 405 miliardi! Davvero un pessimo biglietto da visita per la signora Merkel.
Ma ad aiutare la Germania e gli altri nuovi debitori (di qua e di là dell’Atlantico) a togliere le castagne dal fuoco c’era l’Italia, pronta come un agnello sacrificale su un vassoio d’argento. Complice la crisi del Governo Berlusconi, la cui credibilità toccò il fondo al G-20 di Cannes, l’Italia nel 2011 divenne l’epicentro universalmente percepito della crisi dell’euro e il Paese per eccellenza “too big to fail” da additare al mondo come la possibile causa di un eventuale naufragio della moneta unica. Tutto ciò in base al più classico dei parametri consacrati dagli accordi di Maastricht: il rapporto debito pubblico/PIL. Parametro che non potrebbe essere più stupido, se applicato all’Italia, visto che nel 2010 il nostro debito pubblico in percentuale della ricchezza finanziaria netta delle famiglie, che è l’unica vera garanzia di stabilità finanziaria di una economia, era sì salito un po’, ma solo al 66%, cioè allo stesso livello della Germania, mentre la Spagna era balzata all’81%, l’Irlanda al 122% e la Grecia al 259%! Per chi ha la memoria corta, il figlio di Mario Monti, un vero “asso” dell’economia al pari di Prodi se non peggio, in cambio delle sue prodigiose manovre, è stato nominato vice presidente della J.P Morgan..

COME ATTRARRE GLI INVESTITORI VERSO IL PROPRIO DEBITO PUBBLICO

A fine 2010, nonostante la crisi economica, l’Italia poteva ancora vantare una ricchezza finanziaria netta delle famiglie pari al 181% del PIL, contro il 125% della Germania, il 138% della Francia, il 76% della Spagna e il 57% della Grecia. Indipendentemente dai nostri oggettivi demeriti e dalla debolezza del Governo, è indubbio che nel 2011 fece comodo a molte altre economie che l’Italia entrasse nell’occhio del ciclone e che il nostro spread andasse alle stelle. Infatti, giusto o sbagliato che fosse, gli investitori internazionali abbandonarono rapidamente il nostro debito pubblico (che fino a quel momento aveva sempre garantito ottimi tassi di interesse e regolari pagamenti degli stessi), per andare a finanziare i debiti dei nuovi Paesi in affanno, in primo luogo la Germania stessa. Ma la più sorprendente cifra di cui non si discute, perché imbarazzerebbe molto la Germania, è che dal 2008 al 2012 i debiti pubblici esteri di 20 Paesi UE censiti dall’Eurostat, Italia esclusa, sono cresciuti complessivamente di 1.084 miliardi di euro, mentre il debito pubblico estero italiano è aumentato nello stesso periodo di soli 24 miliardi. Per contro, il debito pubblico estero tedesco è cresciuto nei quattro anni considerati di ben 345 miliardi, finanziato con comodi tassi di interesse ai minimi storici. In particolare, tra il 2010 e il 2012 il debito pubblico estero tedesco è salito di 120 miliardi di euro mentre quello italiano è diminuito di 104 miliardi. La seconda mossa con cui la Germania ha dato scacco matto al Sud Europa, dopo aver accumulato dal 1999 al 2012 un gigantesco surplus commerciale con quest’ultima grazie al tasso di cambio fisso dell’euro, è stata dunque quella di aver costruito mediaticamente il mito dell’Europa meridionale super-indebitata, incardinata su un’Italia perennemente “sorvegliata speciale”. In tal modo Berlino ha potuto più facilmente attrarre gli investitori verso il proprio debito pubblico e finanziare la sua crescente spesa pubblica “keynesiana”.

Usa versus GermaniaDopo questo breve ripasso quali sono i tre principali elementi che inducono alla riflessione?

1) C’è forse stato uno zampino americano nell’avere favorito l’ascesa tedesca aumentando da un lato il debito pubblico complessivo e dall’altro gli investimenti richiesti al comparto manufatturiero mentre la Germania digeriva la maggior parte dei titoli tossici emessi dalle banche americane sacrificando per questo l’italia? Voi che dite…

2) La Germania ha appena incassato un milione di profughi, messo in discussione oltre 600 mila posti di lavoro e ha visto una delle sue principali aziende andare in fumo. E’ in arrivo una multa di 8 miliardi di dollari dai soli Stati Uniti, il titolo in borsa vale oggi carta ed è solo l’inizio di quella che sarà una lunghissima spirale che trascinerà tutto l’indotto del comparto auto tra cui le acciaierie di cui oggi, per paura, non si parla ancora…

3) Tutto questo ovviamente accade mentre la Georgia chiede una copertura Nato aprendo un nuovo fronte con Mosca dopo l’Ukraina. Una coincidenza anche questa ricordando che la Germania ospita ben 21 installazioni militari statunitensi? La Germania, considerato tutto ciò, quanto si potrà opporre ai piani militari di Washington? Forse, dopo tanto rumore per nulla, sarà la Germania a desiderare di tornare al marco uscendo dall’euro bombardata e mal ridotta come da copione scritto oltreoceano?

Andrea Guidorossi

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