brescello (1)E’ come una grande arteria, che da millenni plasma non solo il territorio, il clima, l’ambiente che fa da teatro al suo placido scorrere, oltre al carattere e alla cultura delle popolazioni che, ormai da secoli innumerevoli, hanno trovato ricetto presso le sue sponde. Stiamo parlando del fiume Po e del suo ampio letto sabbioso, dalla sorgente ad oltre 2000 metri d’altezza del Monviso, sino al suo ampio delta di 380 chilometri quadrati, al momento in cui le sue acque si incontrano con quelle dell’Adriatico.

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ponte di barche (2)Conosciuto presso i Greci col nome di Eridano, e come tale assunto in cielo sotto forma di costellazione, il Po, come tutti i grandi fiumi, non influenza soltanto le attività più immediatamente pratiche dell’uomo (economia, agricoltura, trasporti), ma anche e soprattutto la sua capacità di suggestione: il fiume, nel suo lento e frusciante incedere, stimola l’immaginazione, richiama alla mente sogni primordiali fatti di un tempo, anch’esso liquido, che trascorre, impalpabile, circolare. L’acqua che scorre è, prima di tutto, musica; e, col sorgere del ‘900, alla nascita della decima musa (il cinema), si fa anche immagine. Complice la nebbia, certamente; che da queste parti, nelle terre in cui il fiume rallenta la sua corsa ed il suo cammino si fa maestoso ed ingannevolmente tranquillo, è uno spesso e bianco fondale sul quale viene comodo proiettare le emozioni.

poProprio come al cinema, insomma. E infatti, il legame tra la Bassa Padana ed il cinema è importante, e fervido di progetti, di racconti, di fotogrammi. Si parte dal piatto forte: con la vivacità dell’opera omnia di Giovanni Guareschi riguardo alle vicende di un paesino come tanti; Brescello, che diventa teatro dell’epica lotta tra il sindaco rosso, Peppone, e il pastore di anime, Don Camillo. Due personaggi che, per queste zone, sono quasi archetipi, cui prestano i volti gli insostituibili Gino Cervi e Fernandel, catturati dall’obbiettivo di Julien Duvivier (“Don Camillo”, nel ’51, e “Il ritorno di Don Camillo”, nel ’52) dapprima, poi da Carmine Gallone (“Don Camillo e l’Onorevole Peppone” e “Don Camillo…Monsignore ma non troppo”, rispettivamente nel ’55 e nel ’61) e, infine, da Luigi Comencini con “Il Compagno Don Camillo” nel 1965: una serie che mantiene fino alla fine una qualità eccezionale, la cui freschezza dura ancora oggi e diverte a distanza di tanti anni, nonostante tanta acqua (è proprio il caso di dirlo) sia passata sotto ai ponti.

brescello (9)Perché proprio Brescello? Guareschi era del parmense, dopotutto. Pare sia stato lo stesso regista a compiere la fatale scelta, per ragioni puramente scenografiche; eppure, non si può negare che il reggiano, con i suoi contrasti sociali e culturali, sia in fondo l’ambientazione perfetta, nella quale questi racconti, che dopotutto derivano dalla commedia paesana, riescono ad acquisire la vivacità che li contraddistingue: un carattere sanguigno e inimitabile. A partire da quelle pellicole, poi, Brescello ha scoperto e coltivato una sua vocazione cinematografica, organizzando negli anni successivi una serie di iniziative di pregio: particolarmente riuscito, il “Brescello Progetto Cinema, Mondo Piccolo Cinematografico”, dal 2003 in poi è divenuto un importante collettore della produzione audiovisiva indipendente. Così, Piazza Matteotti, scenario di tante schermaglie tra le due anime dell’Emilia, riusona ancora di suoni e di fuggevoli immagini su schermo; ed il Paese di Don Camillo e Peppone, come si è orgogliosamente intitolato, mantiene viva questa nuova vena culturale. Ma non c’è solo Brescello: il clima, il carattere della gente, il paesaggio di pianure verdeggianti solcate da canali e punteggiate di pioppeti ha un che di inesprimibile, di suggestivo ed insieme nostalgico. Uno scenario unico, che molti registi hanno voluto a testimone per le loro storie: la Bassa onirica del Fellini di “La voce della luna” (del 1989, con Paolo Villaggio e Roberto Benigni); “Ossessione” di Luchino Visconti (1943), tratto del celebre romanzo di Cain “Il postino suona sempre due volte”, ambientato in una locanda di ristoro per viaggiatori; il kolossal “Novecento”, di Bernardo Bertolucci (1976), con un cast stellare a rivivere le lotte sociali e politiche dell’inizio del secolo scorso (in chiave ben più drammatica di quella utilizzata da Guareschi), con Guastalla teatro d’eccezione.

Po e Cinema Don Camillo e Peppone MuseoSempre nel guastallese prende le mosse “La vita agra”, di Lizzani (1963), con uno dei primi ruoli drammatici del gigantesco Ugo Tognazzi: e sempre di lotte sociali si parla. Di altro tenore, invece, la fiction “Giorni da leone”, di Francesco Barilli con un entusiasta Luca Barbareschi: “Questo è un gran set naturale”, osservava sui giornali l’attore a proposito di Gualtieri. E come dargli torto? Basterebbe rivedere lo sceneggiato “Ligabue”, girato negli stessi luoghi nel 1977 da Salvatore Nocita su sceneggiatura di Cesare Zavattini: tutta la vita del tormentato artista naif, impersonato da un magistrale Flavio Bucci, non potrebbe essere immaginata in nessun altro luogo; e l’interpretazione ne risulta esaltata, carica di una spinta drammaturgica propulsiva incredibile.

Po e Cinema Don Camillo e Peppone golena poMa a Cesare Zavattini, uno dei più grandi pensatori ed intellettuali del novecento (anche lui originario di questi luoghi, nato a Luzzara), queste caratteristiche della Bassa, di ambiente sia geografico che morale, erano ben note; da lì prendono spunto infatti molte sue opere, e saranno questi i caratteri che ritrarrà per tutta la sua vita: da “Sciuscià”, “Ladri di biciclette”, “Miracolo a Milano” fino a “La Veritàààà” del 1982, Zavattini, ora con la penna, ora con l’obiettivo, cattura e fissa indelebilmente tutto il carattere di questa terra a prima vista piatta e brulla, sotto il cui manto di nebbia dorme, di un sonno leggero, un intero mondo di passioni e di sogni.

Di Carlo Vanni

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