Storia erbazzone reggiano

Storia erbazzone reggianoLa storia dell’Erbazzone viene da lontano e risale forse all’epoca dei romani, la cui cucina ricchissima e molto creativa ha dato i natali a varie preparazioni ancora oggi graditissime. Alcuni credono infatti di poter trovare le radici dell’Erbazzone moderno nell’antico Moretum, parte della Appendix Vergiliana (44 – 38 a.C.), che con ogni probabilità non fu affatto scritto da Virgilio (lo stile, rilevano gli studiosi, è addirittura posteriore a Ovidio), e nell’importante De Re Rustica in 12 libri di Lucio Giunio Moderato Columella (4 – 70 a. C.), libro miracolosamente giunto intatto sino a noi.

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Il Moretum era in realtà molto diverso dall’Erbazzone che noi conosciamo: consisteva in una sorta di impasto di differenti formaggi, piante commestibili e aromatiche, condito con olio, aglio, sale, aceto, pepe, il tutto pestato in un mortaio fino a raggiungere la consistenza di una crema spalmabile; proprio questo, in effetti, sembra essere stato il suo utilizzo più fortunato, steso come una salsa odorosa e ghiotta su pane e focacce. Questa ipotesi pare confermata da uno dei nomi coi quali l’Erbazzone è conosciuto in dialetto ancora oggi in alcune zone: morazòun, morazzone. Va però detto che la parentela tra queste due preparazioni appare piuttosto tenue, e che la tradizione contadina di tutta Italia vanta torte, salate o dolci, a base di erbe, formaggi, uova e altri ingredienti di ripiego, magari avanzi di altre preparazioni di cucina; la culinaria romana, diffusasi in breve ovunque, era ricca di ricette ottenute schiacciando erbe e ortaggi tra due strati di pani o schiacciate. Mastro Martino nel libro “De arte coquinaria” (1450) e Bartolomeo Sacchi, detto “Il Platina, nel suo “De honesta voluptate” (1475) si riferiscono a queste torte d’erbe come “alla bolognese”.

Storia erbazzone reggianoParticolarmente significativa la somiglianza dell’Erbazzone con la Türta de Gee ligure, anche detta Torta Cappuccina, o Pasqualina, o con la Pizza di Scarola del napoletano. Tutte e due sono composte da una scatola di pasta di pane e da un ripieno contenente coste di bietola e vari altri ingredienti; una nota importante è quella che vede queste preparazioni consumate in special modo durante i periodi di “mangiare di magro” a ridosso delle maggiori festività cattoliche, mentre l’Erbazzone non è mai stato associato a questo tipo di utilizzo. Il suo consumo era invece stagionale, e seguiva quello della disponibilità della bietola, da fine maggio – giugno fino a novembre. In ogni caso, in Emilia l’Erbazzone appare prima in montagna che non in città, col nome di Scarpazzone, che alcuni fanno risalire alla costa della bietola (“scarpa”, in dialetto), altri a parti poco pregiate del parmigiano (di nuovo denominate “scarpa”).

Storia erbazzone reggiano

La prima tesi ci sembra ben più fondata, per un motivo molto semplice: la cucina contadina delle origini è cucina povera, spesso poverissima, specialmente se di montagna, e il Parmigiano –Reggiano, di qualunque tipo, difficilmente ne avrà originariamente fatto parte – tanto più che il Parmigiano – Reggiano è un prodotto della valle. Una cucina tanto povera che dei due strati di pasta nei quali è oggi racchiuso l’Erbazzone, spesso in montagna se ne usa ancor oggi uno solo, quello della base; a volte neppure questo c’era, perché la farina era in passato così preziosa, per la sua rarità, da essere utilizzata – se pure  – per fare il pane, anzitutto (pane che, in assenza di frumento, veniva realizzato ripiegando sulle farine di castagne, o di ghiande). Allora, lo Scarpazzone diventava, in assenza di farina, una specie di frittata di uova e formaggio, o una sorta di pizza coi bordi superiori ripiegati verso l’interno a racchiudere il contenuto, cotta non in una padella normale, ma in un söl, apposito stampo di rame per la cottura nel forno a legna.

E’ sempre della montagna l’abitudine, ancora oggi seguita, di aggiungere all’impasto del riso, che proveniva dai pagamenti delle mondine che erano scese a valle durante la stagione della raccolta e ora tornavano alle case, con questa preziosa aggiunta alimentare per le dispense.

Di Carlo Vanni

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